Le sette stelle più visibili, chiamate Grande Carro, ne costituiscono il corpo principale. Già conosciuta in tempi antichi presso tutte le popolazioni dell’emisfero boreale (miti sumerici, greci, cinesi, babilonesi e Indiani d’America), ad essa sono legate molte leggende.
Il mito greco racconta la tragica storia di Callisto, una bellissima cacciatrice del seguito di Artemide della quale s’invaghì Zeus; la fanciulla, fedele al suo voto di verginità in onore della sua protettrice, fuggiva ogni uomo cosicché Zeus si presentò nelle sembianze di una giovane prima di sedurla e di attendere un figlio da lei. La giovane tentò in ogni modo di nascondere l’avanzare della gravidanza, ma un giorno Artemide, presso un ruscello, la vide spoglia e la scoprì. Il fatto giunse all’orecchio di Era, la gelosissima dea, moglie di Zeus, che appena Callisto ebbe partorito il figlio Arcade, la trasformò in un’orsa dall’aspetto selvaggio ma dalla mente umana. Arcade, divenuto cacciatore abile come la madre, si trovò di fronte, in un bosco, la grande orsa che lo guardava: era Callisto. Un attimo prima che Arcade scoccasse la freccia, Zeus intervenne e trasformò madre e figlio in costellazioni: Callisto nell’Orsa Maggiore e Arcade in Arctophylax, guardiano dell’Orsa (successivamente denominata Bootes), da cui Arturo il nome della stella più brillante.
Le due stelle più importanti di questa costellazione sono Dubhe (a Ursae Majoris) e Merak (ß Ursae Majoris), situate nel corpo dell’Orsa, nella parte anteriore del Carro (a destra nella foto); sono dette stelle puntatrici perché, se si traccia una semiretta congiungente Merak a Dubhe e si ripete la distanza tra le due stelle per cinque volte, la linea incontra a Ursae Minoris, la Stella Polare, che indica il Polo Nord Celeste. Con Sonia si commentava come fosse strano immaginare che la luce che giungeva a noi da quelle stelle fosse partita dall’origine 100 anni fa; ciò che vediamo è un dipinto disegnato quando la prima guerra mondiale doveva ancora iniziare!
Qualche intoppo per la mancanza di posti al parcheggio al Fondovalle e per una coppia di scarponi dello stesso piede (due sinistri) fa sì che ci dividiamo in due gruppi. Dal Campo Fiscalino al Rifugio Comici ci mettiamo due ore e 20'; il GPS ci indica un percorso di 6,4 chilometri ed un aumento di quota da 1454 a 2232.
L'immagine sotto invece si riferisce al rif. Comici, dove pernottiamo tutti assieme in una stanza da 16 letti. La foto è stata scattata alle 10 di sera.
Al rifugio Carducci il tempo per un succo di mele, un timbro e via di nuovo per tornare al Comici prima di sera. Ci arriverò in poco meno di 40', quanto ci vuole con buon passo per superare i 2 chilometri e mezzo con 600 metri di sali-scendi.
E' per questo anche quando finalmente, scoperto l'equivoco, il terzetto alpinista raggiunge il grosso del gruppo, questi se la ridono sotto i baffi (foto sotto).
L'attacco alla Torre Toblin inizia alle 16 e un quarto (da 2540 metri) e si conclude mezz'ora più tardi a quota 2615, sulla cima. La ferrata non è particolarmente difficile se non in un tratto nel quale bisogna divaricare le gambe in spaccata per salire la parete in pressione. In ogni caso è molto esposta e quindi non per tutti. Il tratto iniziale è molto verticale e ci si serve di numerose scalette metalliche per salire in scioltezza. In seguito si aggira il torrione roccioso mediante alcune staffe metalliche e si prosegue su tratti un po' instabili. Dalla cima si gode di un ottimo panorama sul Crodon di San Candido, la Croda Rossa di Sesto, le Crode Fiscaline, i laghi, la forcella Pian di Cengia, la Cima 11, la Cima 12 (Croda dei Toni), la Cima Una, le crode dei Piani, il Monte Paterno e tutta la zona delle tre Cime di Lavaredo.
Rientrati al rifugio brindiamo ad una lunga vita del Knedelgrup, puntando sulle giovani leve per le future e più impegnative missioni.
Il terzo giorno, 21 agosto, scegliamo il "percorso degli anziani", vale a dire un tranquillo giretto di 10 km attorno alle tre Cime a quota quasi costante (poco più di 200 metri di dislivello) tocchiamo i rifugi Auronzo e Lavaredo. Apprezziamo, lungo il tragitto, l'abilità di alcuni alpinisti nell'arrampicare la parete verticale delle cime. La sera tardi, dal Rif. Locatelli, noteremo alcune luci accese in parete: sono il bivacco di alcuni alpinisti attardatisi nella salita.
Alcuni di noi, dopo 4 ore di camminata con tanto di soste, decidono di rientrare al rif. Locatelli per il pranzo, mentre altri sostano al Lavaredo. Adriano percorrerà di corsa il tratto dalla forcella Lavaredo al rifugio, tanto per non tradire il suo spirito da atleta.
Dal rifugio Locatelli un gruppo ristretto parte alla volta della cima del Paterno, a 2746 metri di quota. Il primo tratto viene percorso lungo le gallerie della prima guerra mondiale. Qui è necessario essere muniti di lampadine perché ci sono dei lunghi tratti completamente al buio, dove la temperatura scende vertiginosamente.
Giunti allo sbocco sulla parete del Paterno che volge al Pian di Cengia, Antonella si stacca dal gruppo mentre Lorenzo affronta con sicurezza la sua prima ferrata.
Nell'immagine sottostante il primo tratto della ferrata affrontato da Daniela, la rappresentante del gentil sesso che assieme ad Adriano, Lorenzo, Dario, Mitja e Giulio ha affrontato l'ascesa.
La ferrata non presenta le difficoltà di quella della Torre Toblin, ma è lunga e moderatamente faticosa. Il primo tratto si conclude su una forcelletta ben visibile anche dal rifugio, dopodiché prosegue sulla destra in maniera più ardita per puntare diritta alla cima. Complessivamente per i 500 metri di dislivello che ci separano dalla cima impiegheremo un'ora e mezza. Un rapido ritorno ci permette di non far tardi per la cena.
Ultimo giorno di vacanza nell'appagante val Pusteria... ormai ci dobbiamo separare, alcuni di noi
Il percorso ora si snoda lungo la valle Sassovecchio (segnavia 102), ricca di acqua e di bellissime pareti, l'itinerario è lungo ma molto panoramico e suggestivo nel primo tratto. In quello intermedio incontriamo moltissimi escursionisti che, faticosamente, risalgono i 950 metri circa di dislivello. Siamo in valle prima di mezzogiorno e, per non smentirci, decidiamo di pranzare in un ristorantino sfizioso ai piedi della cabinovia della Croda Rossa il "Putschall".