Castelrotto: la fondazione

Il Knedelgrup nasce in maniera spontanea nell' estate del 2004 in quel di Castelrotto, ridente paesino dell'Alto Adige ai piedi della famosa Punta Santer. Eravamo andati a trascorrere una vacanza in montagna e dopo aver gustato alla sagra paesana i mitici knedel, Nico ha coniato il nome del gruppo che si è sempre distinto per avere al suo interno dei validi bongustai.

Il Knedelgrup, formazione 2008

Il Knedelgrup, formazione 2008

lunedì 16 maggio 2011

Anello Bianchi nella Val Giaf


Domenica 8 maggio 2011 il gruppo CAI TAM della Società Alpina delle Giulie ha effettuato una escursione presso la zona del rifugio Giaf, a Forni di Sopra, nel Parco Naturale delle Dolomiti Friulane. L'uscita faceva seguito all'incontro preparatorio di due giorni prima, con la relazione di Dario Gasparo dal titolo "All'ombra dell'aquila reale tra il Cridola e i Monfalconi".

Parco delle Dolomiti Friulane

Il Parco Naturale delle Dolomiti Friulane, a cavallo fra le province di Udine e Pordenone, viene ufficialmente istituito con la Legge Regionale n.42 del 1996, dopo vent’anni di studi, progetti e battaglie politico - amministrative.

L’obbiettivo del Parco è tutelare e conservare il patrimonio naturale, promuovere la ricerca scientifica, la didattica ed il turismo ambientale con l’obbiettivo principale di favorire lo sviluppo economico e culturale delle popolazioni residenti in un’area estremamente interessante dal punto di vista naturalistico e alpinistico.

Il Parco Naturale delle Dolomiti Friulane ha una estensione di 36.950 ettari (365.50 Kmq); è geograficamente inserito fra l’Alta Valle del Tagliamento a nord, la Valle del Piave a ovest, la Valle del Cellina a sud e le dorsali dello spartiacque del Meduna a est. Comprende territori della Valcellina, con i comuni di Andreis, Cimolais e Claut, della Val Vajont con Erto e Casso, dell’Alta valle del Tagliamento, con i comuni di Forni di Sopra e Forni di Sotto, della Val tramontina con il comune di Tramonti di Sopra e della Val Còlvera con il comune di Frisanco.

Il paesaggio dominante passa da quello tipico delle Prealpi Orientali a quello propriamente Dolomitico conferendo al territorio del Parco una fisionomia decisamente particolare.

L’assenza di agevoli strade e di strutture ricettive nel territorio del Parco hanno reso minimo l’impatto causato dalla pressione antropica e garantito la sua naturale conservazione grazie all’opera delle popolazioni locali. L’asprezza e la severità dell’ambiente unita alla difficoltà dei percorsi, ha finora scoraggiato il turismo di massa e favorito gli alpinisti e gli escursionisti appassionati della natura.

Le attrezzature del Parco comprendono Centri Visite ed Uffici Informazioni dislocati nei centri abitati principali che ospitano mostre tematiche e archivi multimediali, percorsi didattici adatti soprattutto a scolaresche. Nel territorio del Parco sono state attrezzate Aree di Sosta, Parcheggi segnalati, Rifugi, Casere e Bivacchi garantendo un numero sufficiente di punti d’appoggio per l’estesa rete di sentieri.

La Valle del Tagliamento

Le antiche leggende e gli antichi miti narrano che attorno al 400 a.C. una tribù celtica, Carni, raggiunse la Valle del Tagliamento dal comodo Passo della Mauria e si fermò in queste valli dando il nome alla Carinzia, alla Carnia e alla Carniola.

I romani si sovrapposero alle antiche popolazioni nordiche qui come nel resto del Friuli. Le invasioni e le scorribande dei barbari della steppa sconvolsero più volte la pianura, ma raramente arrivarono sino alle valli alpine. Soltanto i raffinati Longobardi si spinsero dal castello di Ibligine (Invillino) verso l’alta Valle del Tagliamento portando le loro tradizioni e le loro usanze, delle quali rimangono tuttora testimonianze come la numerazione per dozzine (las dosènas) che regolava la spalatura manuale della neve dalle vie del paese.

La prima testimonianza della presenza di un nucleo abitato nell’area fornese è del 778 d.C. ,in un documento dove la Villa di Forno viene donata all’abbazia di Sesto al Reghena da Masselione duca del Friuli, completa di terre, pascoli e frutteti. La proprietà dei territori rimase a famiglie fedeli al Patriarca di Aquileia fino alla fine del 1200 quando Leonardo da Socchieve la vendette a Gualtiero da Nonta, il Quale nel 1326 la cedette al conte Ettore Savorgnan che ne rimase in possesso fino al 1797, con la caduta della repubblica di Venezia ad opera di Napoleone (da cui il nome di Forni Savorgnani dei due comuni dell’Alta Val Tagliamento: For di Sot e For di Sôra).

Per cinque secoli il territorio fornese rimase virtualmente separato dal resto della Carnia, conservando in questa zona una parlata sensibilmente diversa dal carnico, derivata dal ladino-friulano, con numerose influenza dei vicini dialetti veneto - cadorini e radici celtiche (truói = sentiero), germaniche (tropp = gregge) e slave (brìtala = temperino) di alcuni termini. Dal Congresso di Vienna in poi le vicende storiche dell’area fornese sono quelle del resto del Friuli, dall’impero austro-ungarico, ai moti rivoluzionari del 1848 con episodi di guerra e scontri al Passo della Morte. Nel 1866 ci fu l’annessione al Regno d’Italia e la partecipazione agli eventi bellici del ‘900.

Forni di Sopra (907 m s.l.m., 1173 abitanti nel 1998)

Forni di Sopra, stazione turistica dai primi anni del secolo, costituisce il naturale collegamento fra la Carnia e il Cadore.

Antico insediamento forse di origine romana, conserva ancora un centro storico particolarmente suggestivo, con abitazioni in pietra e legno e interessanti opere d’arte conservate nelle chiese. A differenza di altre località turistiche, gli abitanti vivono nella valle tutto l’anno, mantenendo vive la cultura e le tradizioni locali; fra queste ricordiamo l’uso delle erbe selvatiche, dei funghi e dei frutti di bosco, che culmina nella Festa delle Erbe di Primavera, occasione unica per scoprire ricette tradizionali dagli insoliti sapori e profumi.

Dal Parcheggio di loc. Davâras al Rif. Giâf

Attorno alle 10:30 lasciamo la piazza principale di Forni di Sopra e proseguiamo verso il Passo della Mauria. Dopo quasi 4 km arriviamo in località Ciandaréns e imbocchiamo la strada sulla sinistra seguendo le indicazioni per il Rifugio Giâf. Procediamo per 1400 metri su strada asfaltata sino ad arrivare ad uno spiazzo, sotto al colle di Davâras (area di sosta) dove parcheggiamo le automobili.

Oltrepassiamo il ponte che ci porta sulla sinistra (destra orografica) del Torrente Giâf e pieghiamo quindi a destra imboccando un tratto di strada selciata inserita in un bosco misto di larici (Larix decidua), pecci (Picea abies) e faggi (Fagus sylvatica) ai quali, poco più avanti, si aggiungono anche il Frassino maggiore (Fraxinus excelsior) e l’Acero di monte (Acer pseudoplatanus).

Nel sottobosco incrociamo le prime fioriture di Anemone hepatica (Hepatica nobilis). Percorsi altri 200 metri superiamo a sinistra una stradina e continuiamo inerpicandoci nel bosco, dove i larici si fanno più scarsi. Proseguendo verso est supereremo varie cenose forestali, dalla piceo-faggeta (con Oxalis acetosella, Homogyne alpina, Melampyrum sylvaticum), alla pecceta montana (con scomparsa del Faggio).

Si tratta di un bosco di protezione dalle slavine e di consolidamento delle frane dove i pecci assumono la forma a rami corti inclinati verso il basso, per favorire lo scivolamento della neve, più abbondante alle quote elevate.

Dopo 300 passi, al termine del tratto selciato, abbandoniamo la strada principale (che in 55 minuti porta al Rif. Giâf) per seguire a destra l’ampio sentiero dove il Rif. Giâf viene indicato a 45 minuti (scorciatoia). È ben visibile sulla destra il M. Boschét (1706 m) con i suoi ghiaioni e il Coston omonimo, una catena che continua ad ovest fino alla sua vetta più alta, il M.Crìdola (2581 m); poco più a sud si intravedono i contrafforti dei Monfalconi (Monfalcóns).

Le catene montuose lungo il percorso

I gruppi montuosi interessati dal percorso sono rappresentati dal Crìdola, dai Monfalconi e dal Pramaggiore (Pramajôr), rilievi originati durante l’orogenesi alpidica iniziata nel cenozoico, circa 40 milioni di anni fa, e tuttora in atto. I sollevamenti seguono una direttrice prevalentemente est ovest e compressioni nord sud.

Oltre alla Dolomia principale e ai calcari dolomitici si trovano calcari marnosi, dolomie cariate e marne gessose nella bassa Val di Giâf, formazioni antiche di roccia che costituiscono il basamento della dolomia; questa si presenta in colore grigio-rosa o velata di giallo e rosa, fratturata subverticalmente dall’orogenesi alpidica che ne ha modificato l’originaria continuità ed ha facilitato l’erosione delle rocce da parte degli agenti meteorici, determinando la frammentazione dei rilievi in guglie, torrioni e creste seghettate.

La dolomia principale si è formata in un ambiente con estesi fondali bassi soggetti alle oscillazioni delle maree che hanno determinato condizioni ambientali alternativamente subaeree e subacquee.

Il primo tratto di percorso interessa la parte meridionale del gruppo del Crìdola, appartenente alle dolomiti d’Oltre Piave; si costeggia lo sperone più meridionale (Coston del Boschét) del contrafforte orientale del gruppo del Crìdola, la cui vetta più alta, la Cima Est, si trova molto più ad ovest del nostro tracciato e non risulta visibile.

Il Gruppo dei Monfalconi è formato da una catena di circa 11 km. Il ramo Torrione (Turion)-Urtisiél separa la Vàl Monfalcón di Forni (Bivacco Marchi-Granzotto)) dalla Val di Giâf e va dalla F.la Las Bùsas (2256 m) al Passo del Lavinâl (1972 m) che congiunge questa catena alla propaggine più settentrionale del gruppo del Pramaggiore. Al centro di questo ramo troviamo la Forcella Urtisiél (1990 m) che consente il collegamento tra il Rif. Giâf e la C.ra Valbinón.


Nelle foto panoramiche (ph. Dario Gasparo), dalla Val di Giaf si vedono i Monti del Bivera e Clapsavon, verso Est, e la catena verso sud con, nell'ordine, le forcelle Urtisiel, dei Pecoli, da Las Busas e Scodavacca, tutte, a parte la prima, sopra ai 2000 metri.

Sul versante meridionale del Coston del Boschét, soleggiato ed arido, è presente una vegetazione termofila con Pino silvestre (pinus sylvestris) e Pino nero (Pinus nigra), le cui chiome espanse e distanziate lasciano filtrare molta luce per l’abbondante sottobosco; il versante settentrionale che stiamo percorrendo, più fresco ed umido, si presenta con un bosco misto di Peccio, Abete (Abies alba) e Faggio.

A quota 1150 m il percorso si fa più ombreggiato perché coperto dalla vegetazione; l’ambiente è quello di una faggeta di esemplari giovani. Nel sottobosco spiccano il Fior di stecco (Daphne mezereum) e, nella parte più aperta, il Rododendro irsuto (Rhododendron hirsutum).

Proseguiamo avvicinandoci al T. Giâf, lungo il sentiero che si fa più stretto, e permette il passaggio di una sola persona alla volta; nei dintorni si possono notare varie opere finalizzate al contenimento della franosità del suolo.




Dopo poco più di mezz’ora dalla partenza (1 km), attraversiamo una prima volta il torrente mediante una passerella costituita da pochi tronchi; la vegetazione risente della presenza di un terreno umido e si presenta con esemplari di Salice rosso (Salix purpurea), Salice di ripa (Salix eleagnos) e Ontano bianco (Alnus incana).

Ancora alcuni minuti e passiamo sopra un ponticello più consistente (1250 m), raggiungendo definitivamente la sinistra orografica del Giâf ed arrivando ad un bivio: il sentiero di destra non è altro che una scorciatoia più ripida che si ricongiunge al sentiero principale dopo un centinaio di metri. Ora il tracciato si inerpica rapidamente con dei tornanti e una balaustra ci protegge, a sinistra, dal rischio di caduta lungo lo scosceso versante che porta fino al torrente. In questo tratto una panchina di legno può consentire un breve e comodo riposo.


Il Faggio, il Peccio, il Pino silvestre, il Sorbo degli Uccellatori (Sorbus aucuparia) e l’acero di monte che contornano il sentiero non ci impediscono di godere, verso sud, di un’ottima vista sui gruppi Cimacuta (Somagùda) – Lavinâl Urtisiél e Monfalconi, con la vallata sottostante ricoperta di larici, abeti e mughi. Da qui è anche possibile vedere a sud sud-est l’imbocco della F.la Urtisiél, che sarà raggiunta fra poco meno di 2 ore, nonché la F.la Scodavacca (2043 m) verso ovest, che sancisce la fine del gruppo del Crìdola a nord e l’inizio a sud del gruppo dei Monfalconi.

Rientriamo in una zona più boscosa, passiamo un ruscello e svoltiamo a destra dove il sentiero, bordato di felci, diventa più largo ed agevole. Dopo circa 1h15 dalla partenza ci imbattiamo nella vegetazione nitrofila che costituisce la radura attorno ad un edificio in pietra (Casòn di Giâf) con tetto in briéta (scandola di legno), già malga per vitelli di recente ristrutturata nell’ambito del progetto del parco; notiamo le presenze di Epilobio (Epilobium angustifolium) ed Ortica (Urtica dioica). 150 metri più avanti arriviamo ad una chiesetta e poco più in su raggiungiamo il Rif. Giâf (1400m).

*Dal parcheggio “Davâras” siamo saliti di 350 m in quota ed abbiamo percorso 1.7 km, con una pendenza media del 21%. Un uomo di corporatura media ha effettuato circa 3400 passi in 1h20 con un consumo di 700 calorie (10% in meno per una donna ed un anziano).
Il rifugio Giaf si trova in un ripiano tra abeti e larici, ma nei pressi è possibile osservare i biotopi, rimaneggiati e utilizzati in passato dall’uomo per vari fini, che sono stati ricolonizzati da specie antropocore, vegetali che “seguono” la presenza dell’uomo. Il rifugio ha appena cambiato gestione (la coppia che lo gestisce è quella che prima lavorava al rif. Grauzaria); ha una cinquantina di posti letto e si trova in ottima posizione per le escursioni.
Infatti dal Giâf si dipartono numerosi sentieri: il sent. 361 per la F.la Urtisiél (1h30) e per il Rif. Pordenone (3h30, aperto da metà giugno a fine settembre, con 67 posti letto); il sent. 342 per il bivacco Marchi-Granzotto (2h30) e la Val Montanaia (5h15); il sent. 354 per la F.la da Las Bùsas(2h); il sent. 346 per la F.la Scodavacca (Fórcia di Giâf – 1h30), per il Rif.Padova (2h40) e per il Biv. Vaccari (4h30); il sent. 340 per la F.la Crìdola(2h) e Lorenzago (4h).

Nelle due foto sopra, il rifugio (1400 metri di quota) con alle spalle la forcella dei Pecoli (2116 m) con a sinistra la Cima Urtisiel (2264) e a destra la Cima dei Pecoli (2352).
Dal rifugio prendiamo il sentiero che porta verso nord-ovest (346) e dopo un breve passaggio in faggeta troviamo un bivio e prendiamo a destra (cartelli nelle foto qui sotto).

Lungo questo percorso si può godere verso Est della vista su Forni di Sopra e i monti Bivera e Clapsavon. Sulla sinistra si notano anche gli impianti di risalita del Varmost.
Camminando in silenzio è possibile osservare i camosci che in questo versante esposto a sud-est sono abbastanza numerosi, anche se schivi.
Si prosegue verso nord-est finché con una serie di serpentine si entra in un bosco di faggi più maturo, con esemplari di grandi dimensioni.

Il sentiero piega ora verso nord-ovest puntando dritto verso la cima del monte Boschet. Qui il bosco lascia spazio ad un'ampia radura ricca di Aconito, circondata da larici.


Da qui proseguiamo ancora per una breve divagazione lungo il sent. 340, che ci porta ad affacciarci sulla Val de la Tora, verso il Passo della Mauria. Abbiamo davanti a noi, ad una decina di chilometri circa verso ovest, delle belle cime di monti. Si notano i monti Bragagnina, Schiavon, Pupera Val grande, Cresta Castellati, Brentoni e, sulla sinistra e più lontani (24 km) la Croda dei Toni, il Monte Popera, la Croda di Ligonto, la Cima Bagni, la Cima de Ambata, la Croda da Campo, la Cima del Pulle (sul confine, a 30 km), il Monte Tudaio e la Cima Bragagnina.


Ritorniamo sui nostri passi alla ricerca del sentiero che dalla vetta del Boschet, in modo non molto evidente, costeggia il versante esposto verso Forni di Sopra (est), ma che corre più alto di quello percorso all'andata. Inizia il nostro percorso in discesa. Lungo il percorso (siamo la prima settimana di maggio) vi sono numerose e profumate fioriture di Daphne odorata (prima foto qui sotto), di Fior di Stecco (Daphne mesereum), Anemone trifolia (seconda foto qui sotto), Gentiana clusii (terza) e Gentiana verna (quarta; genzianella primaticcia).




Vi sono diversi punti panoramici. Qui sotto è visibile la forcella dei Pecoli.

Costeggiando ancora la parte alta del Boschet, continuiamo a scendere di un centinaio di metri in quota, fino ad arrivare all'incrocio con il sent. 346 che ci riporta verso il rifugio Giaf. L'anello Bianchi proseguirebbe ancora in salita verso ovest per poi piegare a sud salendo fino a 1729 metri, ma noi, vista l'ora pomeridiana, decidiamo di ridiscendere verso valle.




Lo foto finale presso il Giaf ritrae tutto il gruppo coordinato da Viviana, che sta sostituendo degnamente Giorgina Michelini, responsabile del TAM che ha dovuto rinunciare all'uscita. Dal rifugio scegliamo la strada sterrata per il ritorno in discesa: lungo il percorso ancora ottimi scorci sulla faggeta e sui monti circostanti, come il Tiarfin, verso il Varmost (sotto).

Alla fine della giornata abbiamo percorso 8,7 chilometri e mezzo in poco più di 2 ore e mezza effettive. Comprendendo le soste ci abbiamo messo 6 ore, superando un dislivello complessivo di 726 metri.
I grafici realizzati con il Garmin ci permettono di apprezzare il progressivo aumento di quota superato con un passo costante.


Diagramma quota-tempo complessivo comprese le soste (6h)

Diagramma quota-tempo in effettivo movimento (2h 40')
Le foto sono di Dario Gasparo. Se ne può far uso citando la fonte e possibilmente avvertendo l'autore con mail a dario.gasparo@iol.it.

mercoledì 4 maggio 2011

Zio Corrado

Voglio anch'io ricordare su questo blog - che si occupa di natura e montagna - un uomo, Corrado Belci, che come scrive "Italia Nostra", "ha saputo cogliere con grande anticipo l'importanza della protezione ambientale". Egli infatti è stato il primo a proporre, già negli anni '70, una normativa a protezione del territorio carsico, sull'onda dell'amicizia con Renato Mezzena (allora direttore del Museo di Storia Naturale di Trieste) e della conoscenza dell'emerito prof. Livio Poldini, oggi botanico di fama internazionale. Appena 20 anni dopo verrà promulgata una legge nazionale, la 394, sulle aree protette.
Ma io voglio ricordare Belci (un vero "onorevole"), semplicemente per come l'ho conosciuto quando da piccolo passavo a casa sua intere giornate a giocare con i cugini. L'uomo politico, che tanti anni più tardi ho scoperto essere così importante, per me era semplicemente "zio Corrado",
quello che mi divertiva per come sapeva muovere le orecchie (ricordo quando aveva promesso di farlo durante una ripresa su RAI 1 in Parlamento, promessa - con nostra gran delusione - disattesa...).
Quello che come me e i miei fratelli era un tifoso sfegatato della Juventus in una famiglia di interisti...
Quello che non ci stava a perdere nelle "trottoliadi" (un'olimpiade del gioco con la trottola consistente nel lancio più duraturo.. fino a 2 minuti!).
Quello che mi ha insegnato il trucco del "cucchiaino mangiato" con il quale ancora oggi mi diverto a stupire i miei studenti.
E, più avanti negli anni, quello che mi ha aiutato nella realizzazione del libro sulla Val Rosandra.
Quello che è stato disponibile ad ospitare me e i mei studenti a casa sua per raccontarci tutto sulla bora, dopo aver realizzato quel meraviglioso libro anche con il contributo del comune amico Elio Polli.
Quello che assieme a Laura è stato vicino a Claudio nei momenti difficili dopo la perdita della moglie.
Quello che ha dato vita ai miei cari cugini Franco, Guido, Isa e quelli a me più vicini per età, Chiara, Sandra e Paolin.
Quello che non dimenticherò.
ciao zio Corrado!
Dario

CORRADO BELCI: l'ultimo saluto

Ieri sera, 3 maggio 2011, è morto a Trieste Corrado Belci, l'uomo, il giornalista, lo scrittore, il parlamentare e il nonno.
Aveva 84 anni ed era stato sottosegretario di tre diversi Governi oltre ad esser stato direttore del quotidiano della Democrazia Cristiana "Il Popolo" dal 1976 al 1980.
Parlamentare della Democrazia Cristiana per quattro legislature dal 1963 al 1979. Fondatore del Collegio del Mondo Unito dell' Adriatico e suo primo presidente. Collaboratore di Aldo Moro e di Benigno Zaccagnini.
Autore di molti libri tra i quali citiamo: "Quei giorni di Pola", "Zaccagnini. Vita e pensieri", "Benigno Zaccagnini. Un riformista con l'animo del rivoluzionario", "Il libro della bora", "Nona Marieta.Ricordi dignanesi" e con G. Bodrato "1978.Moro, la DC, il terrorismo".
Ha scritto il capitolo "La prima legge di tutela del Carso" sul libro "La Val Rosandra e l'ambiente circostante" a cura di Dario Gasparo.
Lascia la moglie, sei figli e otto nipoti.
Ciao, zio Corrado....ricorderemo i tuoi racconti.
Daniela