Castelrotto: la fondazione

Il Knedelgrup nasce in maniera spontanea nell' estate del 2004 in quel di Castelrotto, ridente paesino dell'Alto Adige ai piedi della famosa Punta Santer. Eravamo andati a trascorrere una vacanza in montagna e dopo aver gustato alla sagra paesana i mitici knedel, Nico ha coniato il nome del gruppo che si è sempre distinto per avere al suo interno dei validi bongustai.

Il Knedelgrup, formazione 2008

Il Knedelgrup, formazione 2008

venerdì 29 luglio 2011

Escursione a Topolò, valli del Natisone

Il paese di Topolò si trova in provincia di Udine, vicino al
confine con la Slovenia, nelle Valli del Natisone. E' un paese
che ha una storia secolare (più di 700 anni) e noi l'abbiamo
visitato perché ci era nota la sua splendida posizione
(a 580 metri di quota) e le bellissime case in pietra.
A luglio vi si tengono delle manifestazioni d'arte con recite,
incontri, spettacoli, concerti, proiezioni video e mostre di artisti.
Noi abbiamo molto apprezzato le spettacolari fioriture di crocchi.

martedì 26 luglio 2011

New York, marzo 2011

Ecco il link al filmato della nostra vacanza.

5 marzo 2011 - Sveglia alle 3:20 a Trieste e partenza alle 4:00. Dopo 1h40 siamo al parcheggio di Venezia e un quarto d’ora più tardi in aereoporto, così da partire comodamente alle 7:00 (non senza un po’ di suspance per la mancanza del visto ESTA di Giulio, poi ritrovato, ma guadagnando tempo per il fatto di aver fatto il preimbarco via Internet).

Arriviamo a Parigi alle 8:55 e la salutiamo alle 10:30; qui si dimostrano molto più timorosi e controllano tutti i passeggeri in modo anche poco garbato. Non solo orologi e scarpe sulla pedana, ma anche una distribuzione sul tavolo di tutti i 10 kg di apparecchiature fotografiche che mi porto dietro, cosa che non mi era mai successa altrove. Da questo momento ci vorranno 8 ore per arrivare a New York, anche se formalmente ci arriveremo attorno alle 13:00, a causa del fuso orario (in Italia ci sono 6 ore in più).

Durante il lungo viaggio si inganna il tempo guardando qualche film, leggendo un libro, e osservando sulla mappa di viaggio il punto in cui si trova: ora siamo sopra a Grand Manan Island e puntiamo su Portland e Boston.

Alle 12:30 iniziamo decisamente a scendere di quota (da 12 mila metri a 600) e la temperatura esterna passa da -69° a +8°. Ora si vede bene Manhattan. Abbiamo percorso 5840 km e il nostro 5 marzo durerà 30 ore!

Decidiamo di prendere un taxi per raggiungere la nostra abitazione a Brooklyn. Rispetto ai 45-50 dollari previsti, l’autista ce ne chiede 70, così decidiamo di non lasciargli quel 15% di mancia che solitamente va prevista.

Il nostro viaggio sul taxi è molto movimentato dato che il taxista zigzaga tra le corsie come un forsennato mentre il traffico è intensissimo nell’ora di punta.

Alle ore 15 prendiamo possesso della casa, prenotata direttamente dal sito "HomeAway" già a novembre, dove dopo 3 ore arriveranno i nostri coinquilini nonché compagni di avventura: Nico e Sonia. Dopo aver sistemato le nostre cose nel comodo appartamento ci muoviamo immediatamente verso la stazione della metro dove comperiamo delle Metro Card da 29$ per 7 giorni di spostamento con bus, metro e treno.

Dal quartiere dove ci troviamo quindi, attraverso la metro, raggiungiamo in poco più di mezz’ora il fantastico Ponte di Brooklyn nelle vicinanze del quale conosciamo un italiano della provincia di Biella che 5 anni prima si era trasferito con la famiglia a New York causa crisi del settore tessile in cui lavorava.

Il Ponte di Brooklyn, completato nel 1883, è il primo ponte costruito in acciaio ed ha rappresentato per lungo tempo il ponte sospeso più grande al mondo. Collega tra di loro l'isola di Manhattan ed il quartiere di Brooklyn (un tempo due cittadine distinte dello Stato di New York, oggi due quartieri) attraversando il fiume East River.

La costruzione del ponte richiese la manodopera di 600 operai dei quali 27 persero la vita per embolia gassosa dopo aver effettuato immersioni nelle camere di scavo sottomarine.

Il ponte è costituito da 4 cavi d'acciaio assicurati ad ancoraggi fissati ad apposite piastre (una per ogni cavo) contenute all'interno di calotte di granito alte fino a 3 metri e poste agli estremi del ponte stesso. Due piloni, posti a circa 300 metri dalle calotte, poggiano su cassoni grandi come 4 campi da tennis, e vengono utilizzati come punti di ancoraggio per i cavi grazie a piastre a sella poste sulle loro sommità.


Una volta completato, il ponte si presentava con una struttura a 5 corsie. In passato le due corsie esterne venivano impiegate per il transito di carrozze, le due corsie intermedie per il transito delle cabine della teleferica e la corsia centrale per quello dei pedoni. Oggi le corsie esterne ed intermedie (diventate 6 in totale, 3 destinate al traffico in direzione Brooklyn e 3 destinate a quello in direzione Manhattan) sono destinate ai mezzi a motore e quelle centrali sono per metà pista pedonale e per metà pista ciclabile. Sulla pista ciclabile bisogna fare attenzione, se si è a piedi, in quanto i ciclisti mal gradiscono i pedoni e suonano e imprecano ai contravventori.

Dopo Brooklyn scendiamo a visitare il parco dove Woody Allen ha girato alcune scene dei suoi film e ammiriamo il Manhattan Bridge dove Giulio ricorda che sul ponte si è girata una scena del film “Perham 123” con John Travolta e Denzel Washington.

La sera rientriamo alle 18 giusto per incontrare Nico e Sonia i quali, come noi, apprezzano l’accoglienza della casa e dei signori Stefan e Wagaye Bayer.

Per la cena decidiamo di andare in un ristorante messicano lì vicino dove mangiamo l’Asada, Guacamole, Burritos e i Tacos al pastor. Per quanto riguarda le bibite (6 birre Corona) dobbiamo prenderle fuori in un market perché il locale non ha la licenza per venderle.

Il 6 marzo inizia con la connessione internet per i saluti a casa; comperiamo la 7-Day Unlimited-Ride MetroCard, che costa $29, valida per 7 giorni di viaggi illimitati su subway e local bus fino alla mezzanotte del settimo giorno dalla prima convalida.

Nella subway non bisogna guardare i colori: a differenza di tutte le altre metropolitane del mondo a New York più linee condividono lo stesso identico colore (ad esempio le linee 1, 2 e 3 sempre tutte rosse o le linee 4, 5 e 6 sempre tutte verdi), quindi bisogna sempre riferirsi al numero od alla lettera. A Manhattan, per capire in quale direzione è diretto un convoglio, si usa “uptown” (northbound) e “downtown” (southbound). Tutto sommato ce la caviamo bene, senza errori eclatanti e con qualche discesa all’ultimo secondo.

Acquistiamo anche il City pass: 79$ adulti, 59$ per i minorenni. 6 le attrazioni che scegliamo, e il prezzo del biglietto intero ci conferma di fare un buon affare: Empire (21$), Met (20$), Museum of Natural History (16$), MoMA (20$) oltre a due scelte tra Statue of Liberty (12$+10$) o Circle Line Cruise (31$) e Guggenheim (18$) o Top of Rock (22$). Scegliamo le combinazioni in modo da risparmiare di più (ad esempio inserendo il Circle line Cruise), acquistando a parte i biglietti meno costosi.

Alle 9 partiamo per Harlem, verso una chiesa dove si canta il Gospel.

La chiesa più famosa ha una fila mozzafiato al suo esterno, ma una donna nera “acchiappaturisti” ci invita e seguirla e in 10 minuti ci porta in una meno nota ma dove ugualmente si canta e, soprattutto, dove c’è posto a sedere. Entriamo alle 11 e… alle 12:20 cominciamo a guardare l’uscita. Mentre Dario e Sonia partecipano entusiasti ai canti, i compagni di viaggio mostrano evidenti segni di impazienza: Daniela respira a fondo e quasi sbuffa tenendo gli occhi fissi sul pavimento mentre Nico, gli occhiali sollevati sulle sopracciglia e le mani intrecciate in appoggio sulle ginocchia, tradisce con il labbro inferiore l’esaurirsi dell’interesse. E’ stato divertente seguire il rito e partecipare alla “festa” cantando con quella trentina di fedeli e quel centiniaio di turisti, curiosi come noi; uno dei tre preti (bishop) che si alternano nella funzione con canzoni e grida (alle quali il pubblico risponde con alleluja e “alone, alone”) invita tutti i turisti a presentarsi con nome e paese d' origine. Divertente, si diceva, ma dopo un’ora e mezza può bastare, così usciamo con discrezione, nonostante occupiamo le prime file, approfittando di un lungo momento di concentrazione del prete spalle al pubblico.

Verso sera visitiamo l’Apple Store, dove non meno di una cinquantina di commessi ci invita a provare il nuovo ipad2 che uscirà ufficialmente fra due giorni. I prezzi sono quelli italiani, ma in dollari anziché in euro, e considerato che un euro vale 1,40 dollari…



Ceniamo sotto al Brooklyn Bridge, da Grimaldi’s, una pizzeria spettacolare per le pizze enormi servite su un “piatto a castello” sopraelevato, per lasciar spazio, al piano di sotto, ai piatti dove ciascuno mangia il suo pezzo di pizza. 125$ ci sembrano adeguati per 4 megapizze e 15 birre!

Il 7 marzo comincia a Penn Station, raggiunta con l’uso di 3 metro; siamo vicini al Madison Square Garden. Da lì in 10 minuti raggiungiamo il B&H Photo, dove guardiamo molte apparecchiature fotografiche e acquistiamo la telecamerina GoPro che servirà più tardi per riprendere il percorso del Circle Line, attorno all’isola di Manhattan.

Di corsa quindi al Pier 83 situato sull’Hudson per imbarcarci con il Circle Line.

La Circle Line è la compagnia più famosa e organizza crociere dal 1908. La nostra 3 Hour Full Island Cruise, circumnavigazione completa di Manhattan, è operativa tutto l’anno. Con 4$ in più rispetto ai 31$ del biglietto ci garantiamo un’ora in più di viaggio, giungendo fino all'altezza della E 96th St. Il panorama è splendido e la giornata ci aiuta.


Alle 3 del pomeriggio (pm, come indicano qui) scendiamo e ci dirigiamo verso il Rockfeller Center (Top of the Rock).

Esso sorge nel punto dove più alta è la concentrazione di grattacieli a Manhattan. Il Rockefeller Center è un altro mito di New York. La coda (siamo a marzo!) procede veloce, una ventina di minuti. I piani panoramici a cui accedi con l’unico biglietto sono tre: il 67° ed il 69° hanno grandi vetrate panoramiche, il 70° ed ultimo piano è invece open air ed offre una vista a 360 gradi sull’intera città. Ci troviamo 260 metri sopra Rockfeller Plaza.

L’ascensore percorre in 43 secondi i 67 piani che ci portano alla terrazza panoramica. La salita è remunerativa (certo, a piedi sarebbe un’altra cosa), ma gli preferiamo la vista all’Empire, che visiteremo più avanti.

La serata la passiamo al Madison per la partita vinta dai Knicks contro Utah Jazz; non mi lasciano portare la Canon 7D, ritenuta troppo professionale, che, con una mia certa titubanza, mi costringono a lasciare all’ingresso. 60$ per un biglietto non sono pochi, ma questa non è solo una partita, ma uno spettacolo di musica, personaggi (tra un tempo e l’altro ci vengono presentati tra gli altri il regista Spyke Lee e il pugilatore Joe Frazier) e luci.

Prima di rientrare a casa, ci meravigliamo alle luci notturne di Times Square, piena di negozi spettacolari, come quello della Swatch con i suoi lampadari costruiti con orologi.


















continua.....

lunedì 25 luglio 2011

Appuntamenti con la scienza

I Musei scientifici del Comune di Trieste organizzano "Navigando nella Scienza" tre incontri con esperti e naturalisti per parlare di pesci, vipere e serpenti.
Primo incontro, 28 luglio , alle 21 presso il giardino del Civico Museo del Mare di Trieste, incontro con M. Costantini che parlerà di "A pesca con Darwin: pesci, pescatori e evoluzione", viaggio tra i retroscena della selezione naturale e degli adattamenti riscontrati nei pesci, nella pesca e nelle sue politiche.
Il secondo incontro, giovedì 11/8, ore 19 presso la nuova sede del Museo Civico di Storia Naturale, il naturalista N. Bressi tratterà "Agosto a sangue freddo: vipere e serpenti velenosi tra prevenzione e leggenda", porterà il pubblico a esplorare miti e conoscenze scientifiche, dicerie e fatti concreti sui rettili velenosi.
Chiuderà il ciclo di conferenze, S. Libralato, giovedì 18/8, alle 21 presso il giardino del Civico Museo del Mare, con "Adriatico: ritorno al futuro. Il pesce che c'era, che c'è e che ci sarà".
Una ricostruzione di 200 anni di storia delle comunità marine dell'alto Adriatico.

lunedì 4 luglio 2011

CAI ON 3 luglio, Fusine (UD)


Lasciamo Valbruna alle 8:45 e raggiungiamo il lago Superiore di Fusine in meno di mezz’ora. Alle 9:30 introduciamo i temi dell’escursione sostando nei pressi del delta lacustre del lago Superiore, da pochi giorni libero dall’acqua. Solo mezz’ora dopo, una volta presentati gli aspetti geologici e le particolarità faunistiche e vegetazionali dell’area, il gruppo di testa inizia il percorso.

Quando concluderemo la gita, arrivati tra il lago Superiore e quello Inferiore (masso “Pirona”) il GPS segnala un impiego di quasi 9 ore per la camminata di 11,5 km (http://connect.garmin.com/activity/96750430) e un totale di 19 mila passi.


La lunga pausa (più di un’ora) che si nota nel grafico blu dopo la quarta ora di camminata corrisponde alla sosta presso il rif. Zacchi, a 1380 metri di quota. Ma prima di arrivarci percorriamo il sentiero 514-515 ammirando da sud la vista sul lago Inferiore e superando il prato di ripristino gestito dalla Regione.Nella foto a lato, scattata da Daniela Mangiola, l'incontro ravvicinato con i cavalli che contribuiscono, nel progetto regionale, a mantenere stabile il prato. Si tratta di un progetto LIFE, cioè di un contributo europeo finalizzato specificamente ad interventi in aree protette.

Raramente si è visto il lago Superiore così pieno d’acqua; la scorsa settimana lo era ancora di più e risulta difficile credere alle previsioni degli idrologi che affermano esso sia destinato a scomparire, trasformandosi in una palude. Sopravviverà solo il lago inferiore, più profondo e soprattutto alimentato dalle sorgenti sotterranee.

Il lago Superiore alla fine di giugno, una settimana fa
Dal Lago Superiore, e in particolare dal suo delta lacustre costituito da materiali trasportati dal corso d'acqua in secoli di “lavoro" possiamo osservare la barriera ai caldi venti del sud costituita dal complesso del Mangart.
Da est verso ovest, Ponze, Strugova, Veunza, Mangart e Travnik contribuiscono a rendere rigido e continentale il clima della conca, che presenta dei minimi termici incredibili (-35°!) determinando comportamenti anomali della vegetazione (la pecceta di fondovalle, più bassa della faggeta).
Alle compatte ed aspre cime dolomitiche del Mangart e delle Ponze fanno contrasto le forme a linee più dolci e continue delle masse detritiche e moreniche che occupano il fondo della conca, generate da millenni di erosione dei ghiacciai e degli agenti atmosferici.
Accumuli di detrito occupano il fondo dei canaloni e dei laghi, originati dallo sbarramento di due cordoni morenici trasversali che si possono notare nell’immagine da Google (28 e 130 metri di altezza sul lago).

L'idrografia superficiale è quasi del tutto assente perché l’acqua scompare nelle permeabili formazioni detritiche e moreniche alimentando i due laghi per vie sotterranee.
Le rocce della conca di Fusine sono esclusivamente di origine sedimentaria; si tratta cioè di ghiaie, sabbie, fanghi e carbonati che si solidificarono e indurirono nel corso di tempi lunghissimi, formando stratificazioni ogni volta che vi erano arresti o variazioni della velocità di sedimentazione.
Tornando alle rocce, nell’Era Cenozoica le spinte tangenziali sugli strati, che all’inizio avevano una posizione orizzontale sul fondo del mare, portarono alla formazione di evidenti curvature con sollevamenti ed accavallamenti che, in circa 50 milioni di anni, formano gli attuali gruppi montuosi.

Analogamente, lungo il percorso il mio gruppo ha avuto modo di discutere di un’altra stratificazione, quella degli anelli di crescita molto evidenti nei tronchi di peccio tagliati rinvenuti lungo la strada (foto Daniela Mangiola). Anche in questo caso la diversa velocità di crescita delle cellule ha determinato una serie ben visibile, che i dendrocronologi utilizzano per datare tronchi, mobili, ma soprattutto eventi meterologici e cambiamenti climatici.
La degradazione chimico-fisica operata dagli agenti atmosferici sulla roccia, e soprattutto i ghiacciai che hanno “lavorato” i monti fino a 10 mila anni fa hanno portato alla odierna tipica morfologia glaciale. La glaciazione wurmiana quaternaria ricoprì tutto il bacino dei due laghi e dalla coltre di ghiaccio emergevano solo le cime più alte (nunatakker) del Mangart, delle Ponze e del Colrotondo e di quel passaggio oggi rimangono i depositi morenici sul fondo della conca.
Lungo il percorso abbiamo potuto osservare come resti testimonianza di questi avvenimenti non solo nella presenza di depositi litoidi anche consistenti (come i massi erratici “Pirona” e “Marinelli”) ma anche nell’esplicarsi di specie relitte ad areale disgiunto, come il Camedrio alpino, che abbiamo visto abbondantemente in frutto nel tratto dell’Alpe Vecchia, a 1300 metri, quando il sentiero 513 piega ad est per raggiungere poi, a nord, il rif. Zacchi.


Proprio in questa zona, in corrispondenza al bivio tra il sent. 513 e 517, ci permettiamo una sosta di una ventina di minuti, per riposarci dopo la scoscesa salita percorsa velocemente nel canalone. Da qui notiamo la forte pendenza di tali accumuli (anche 35° nel caso delle falda detritica ad Ovest di Cima Strugova) e la ricchezza di materiale lapideo (“macereti” o “ghiaioni”) nella valletta che porta alla forcella Sagherza e ospita la ferrata “via della Vita”, con in cima il bivacco CAI Tarvisio. Attorno ad un grande masso ci fermiamo a discutere dei segni blu e bianchi che abbiamo scorso lungo la strada (la suddivisione delle proprietà). Alberto approfitta per spiegarci la funzione del bosco e la sua gestione.


Il gruppo è costituito da:

· Orazio, esperto di Asiago che ha ereditato dal padre la passione per le escursioni e collabora con la Pro loco di Asiago; ci racconterà qualcosa sulla transumanza
· Anna, la rossa riccioluta che, da laureata in economia aziendale, tratterà dell’attività di malga e di economia della montagna
· Lorenza, l’architetta che per aiutarmi a memorizzare il suo aspetto mi promette di non togliere il cappello per tutta la giornata (ma resisterà solo fino al Zacchi); produttrice di vino, si interessa anche di disegno e pittura, oltre che di natura
· Annalisa, l’altra rossa, preccupata per il figlio che andrà a scalare il Monte Rosa e che in quel momento si trovava su un ghiacciaio
· Daniela, che mi si presenta come “quella che dimentica gli scarponi”, condividendo con me questa distrazione. Prof. di lettere molto interessata a tutto (prende un sacco di appunti), ci ha portato spesso degli esempi ripresi da un recente convegno sulle Dolomiti patimonio dell’Unesco dov’è rimasta particolarmente colpita dall’intervento dal forestale Davide Pettenella
· Carlo, che è entrato a far parte del gruppo all’ultimo momento ma non per questo meno interessato a interagire con gli altri
· Alberto, il “100% Austria”, come recita la sua maglietta; forestale che interverrà spesso su temi specifici del suo campo e ci mostrerà lungo il percorso alcuni interessanti esempi di carie cubica
· Marco, 100% friulano! Ben protetto dal sole con un cappellino prominente sugli occhiali scuri, buon conoscitore delle montagne lì attorno. Tradurrà per tutti una targa ricordo scritta in friulano.

A proposito della carie cubica, lungo il percorso Alberto ci fa notare vari esempi.
Il colore del legno intaccato dipende dalla componente cellulare che viene degradata, così distinguiamo due forme principali: la carie bruna con prevalente degradazione della cellulosa, ad opera delle cellulasi (mentre risparmia la lignina) e la carie bianca, legata ad un fungo con prevalente degradazione della lignina, ad opera degli enzimi ligninolitici.

Gli agenti di carie bruna, lasciando parzialmente intatta la lignina, danno al legno un aspetto rigido ma friabile: il legno perde la resistenza, imbrunisce e si rompe su tre piani di sfaldatura perpendicolari tra loro (da cui il nome di “carie cubica”) dando fessurazioni e screpolature. Il legno della carie bianca si presenta di colore biancastro ed ha un aspetto più lasso, sfasciato e, nel tempo spugnoso e friabile tanto da formare delle cavità (nel legno resta la cellulosa legata ai raggi parenchimatici ed il tessuto risulta sensibile alla flessione, ma resistente alla tensione).

Lungo il percorso la natura ci fornisce varie occasioni per discutere di biologia, ecologia, botanica, geologia. Così attraversando il corso del torrente asciutto parliamo di granulometria e di trasporto di ciottoli, si discute di biomonitoraggio e di indici di qualità delle acque nonché di strategie degli organismi per difendersi dal dilavamento impetuoso delle acque torrentizie. Prima di imboccare il sentiero che si inerpica sull’Alpe Vecchia, un tratto ricco di fango per il passaggio di trattore (recupero tronchi tagliati) ci fornisce il pretesto per parlare di tracce e di impronte degli animali (sono visibili quelle di una volpe sovrapposte a quelle di una ballerina e poco più in là quelle di una donnola, oltre alle “impronte” lasciate dalla pioggia).

Alcune farfalle in amore ci danno lo spunto per parlare del meraviglioso mondo dei lepidotteri e del loro curioso modo di vivere più vite diverse. Daniela D, andata in avanscoperta, oltre alla Zootoca vivipara ha potuto osservare il rituale di corteggiamento delle farfalle, in particolare del Pieride Aporia crataegi. Sono suoi gli scatti qui sotto (le altre foto sono di Dario).


I Lepidotteri (da “squama” e “ala”) sono suddivisi in ROPALOCERI (farfalle diurne con antenne clavate) ed ETEROCERI (notturni, con antenne di diversa grandezza). Le farfalle diurne hanno ali variamente colorate che, durante il riposo, stanno sollevate verticalmente sul corpo mentre le falene hanno ali meno vistose.

Riguardo all’accoppiamento, quasi sempre è il maschio a compiere i primi passi nel corteggiamento, emettendo ferormoni per eccitare le femmine, mentre i colori invece servono al riconoscimento intrasessuale. I ferormoni nelle femmine sono secreti da ghiandole addominali, nel maschio da speciali squame delle ali (gli androconi). Il consenso alla copula avviene per accostamento ventre-ventre simmetrico e quindi avviene il volo nuziale coda-coda.

Alla schiusa dell’uovo (una decina di giorni dopo la deposizione effettuata sulla giusta pianta nutrice, sotto o sopra la foglia a seconda della specie) esce un bruco terricolo, dotato di un apparato boccale trituratore con quale si ciba di vegetali e prima ancora del suo stesso uovo; successivamente compie una “metamorfosi completa” una trasformazione con distruzione e completa ricostruzione degli organi. Siccome il bruco cresce anche mille volte di più del peso iniziale, dovrà liberarsi più volte della pelle elastica che lo ricopre, e raggiunto il massimo della crescita si trasformerà in crisalide, scegliendo accuratamente il luogo sicuro spesso un ramo di una pianta, dove si fisserà in posizione eretta producendo dei fili di seta. Qui produrrà l’involucro chitinoso che lo racchiuderà (crisalide). Alla fine la farfalla lacera l’involucro e comincia ad aspirare aria e a far scorrere l’endolinfa nelle ali raggrinzite che in breve devono essere dispiegate e asciugate al sole per non rimanere indefitamente corrotte.

Alcune farfalle sono migratrici, spostandosi in primavera-estate dalle regioni mediterranee in primavera per riprodursi con una o più generazioni prima dell’autunno per poi tornare verso sud nel periodo di tarda estate-autunno (Europa meridionale). Grandi migratrici sono la Vanessa del cardo (Cynthia cardui) e la Vanessa Atalanta, che dall’Europa centrale e meridionale si spostano verso le isole Britanniche e l’Islanda nel periodo primaverile, compiendo la rotta inversa nel periodo autunnale.

Infine riporto un argomento che abbiamo avuto modo di discutere e che può rappresentare un motivo per approfondire le modalità di riproduzione sessuata e asessuata del mondo animale e vegetale: le felci. Appena abbandonato il sito dove abbiamo rilevato le impronte degli animali, abbiamo trovato in pochi metri sia la felce femmina (Athyrium filix foemina), in alto nella fotografia, che la felce maschio (Dryopteris filix-mas), in basso, che rappresentano due specie e generi diversi. La felce femmina ha le pinnule meno accuminate e meno suddivise. Le spore sono in gruppi a forma di fagiolo e non rotondi.


Tra le Pteridofite, oltre alle felci, ci sono gli equiseti, i licopodi, le selaginelle ( “pteron” significa ala). Il corpo vegetativo (cioè la pianta, esclusi gli organi riproduttivi) è un cormo formato da tessuti (legno, corteccia, midollo, ecc.) e di organi differenziati (radice, fusto, foglie, ecc.), che non si trovano nelle “Tallòfite” (alghe, funghi e licheni, dei quali parleremo lungo il percorso). Rispetto alle piante “superiori” mancano quegli organi sessuali ben differenziati che sono i fiori ed i semi, caratteristici proprio delle Fanerògame. In sintesi, le Pteridofite sono Crittogame (piante senza fiori né semi), vascolari (dotate di tubicini per la conduzione della linfa) e cormofite.Rispetto alle piante “superiori” mancano quegli organi sessuali ben differenziati che sono i fiori ed i semi, caratteristici proprio delle Fanerògame. In sintesi, le Pteridofite sono Crittogame (piante senza fiori né semi), vascolari (dotate di tubicini per la conduzione della linfa) e cormofite.

Sul finire dell’escursione siamo stati attratti dal movimento di un uccello nel nido, su un peccio, a pochi metri dalle nostre teste. E’ iniziata una rumorosa discussione probabilmente chiusa dall’intuizione di Fabrizio che ha riconosciuto una tordela (o tordo bottaccio? mah).

Nel grafico qui sotto, il profilo altimetrico superato nel corso della giornata. Più sotto, alcune immagini del lago Superiore visto dal deposito morenico che separa i due laghi.



La carovana di 45 ON lungo il sentiero che costeggia il lago Superiore. Le acque del lago Superiore hanno profondità variabile ma attorno ai 10 metri, mentre quelle del lago Inferiore sono profonde 24 metri e rimangono stabili, in genere, nel corso dell'anno.

Alla fine della giornata era troppo tardi per visitare la pur vicina torbiera Scichizza. Solo un ristretto gruppetto è riuscito a visitarla quasi all'imbrunire. Le ultime immagini (Cephalantera rubra, Epipactis palustris, Gentiana pnemonanthe, ecc..) si riferiscono alla flora e alla fauna del luogo.