Castelrotto: la fondazione

Il Knedelgrup nasce in maniera spontanea nell' estate del 2004 in quel di Castelrotto, ridente paesino dell'Alto Adige ai piedi della famosa Punta Santer. Eravamo andati a trascorrere una vacanza in montagna e dopo aver gustato alla sagra paesana i mitici knedel, Nico ha coniato il nome del gruppo che si è sempre distinto per avere al suo interno dei validi bongustai.

Il Knedelgrup, formazione 2008

Il Knedelgrup, formazione 2008

domenica 28 luglio 2013

La via Francigena di San Francesco secondo il Knedelgrup. Parte Seconda: Assisi-Spello

28 luglio - Assisi - Spello
Distanza percorsa - Km 44 effettivi (tenendo conto dei piccoli movimenti nelle soste): Il tracciato in linea richiede 19,8 km di percorso.
Pendenza media 10%, massima 34%.
Quota: guadagno/perdita quota effettivi: +1450/-1612

Guadagno/perdita quota tracciato diretto: +1138/-1303

Si parte alle ore 9:00 del 28 luglio, gruppo al completo (16 umani più un cane): Erni, Susy, Claudia, Nevio, Daniela, Dario, Giuseppe, Dander, Enzo, Erica, Roberto, Pierpaolo, Grazia, Sergio, Sonia, Nico, Gala. Buona colazione al convento.
Prendiamo la strada bianca verso l’Eremo delle Carceri con una considerevole salita nel bosco, almeno ombreggiati. Quando arriviamo ci dicono che Gala non può entrare e che bisogna essere vestiti adeguatamente, cosa difficile vista la caldissima giornata. 
L'eremo delle Carceri è il luogo in cui san Francesco d'Assisi e i suoi seguaci si ritiravano per pregare e meditare. Lo raggiungiamo dopo 3,7 km di marcia, con una pendenza media del 33% che ci porta da circa 400m di quota a 791 m, innalzandoci, tra saliscendi, di 490 m. E’ ubicato sulle pendici del monte Subasio, nei pressi di alcune grotte naturali, frequentate da eremiti già in età paleocristiana.
 Donato dal Comune di Assisi ai benedettini, questi ultimi lo cedettero poi a San Francesco, affinché si potesse "carcerare" nella meditazione.
Ampliato nel 1400 da San Bernardino da Siena con la costruzione della chiesa di Santa Maria delle Carceri, che ha inglobato una primitiva cappella e di un piccolo convento, l'eremo è posto in un bosco di lecci secolari circondato da grotte e da piccole cappelle dove i pellegrini si ritirano ancora oggi in contemplazione.
Superato il chiosco del venditore di bibite e panini, che per vendere i suoi prodotti qualche esagerazione sul percorso ce la racconterà, si prosegue per un acciottolato fino al Chiostrino dei frati, una terrazza triangolare che si affaccia a strapiombo sul fosso delle Carceri. Alle estremità del chiostro vi sono le porte che conducono al refettorio dei frati e alla chiesa di Santa Maria delle Carceri. Al piano superiore del refettorio sono situate le celle dei frati.
Scendendo una ripida scalinata, dal convento si arriva ad un bosco di faggi e alla grotta di san Francesco. Dal sentiero antistante a questa si dipartono le altre grotte dei primi compagni di Francesco: Leone, Antonio da Stroncone, Bernardo di Quintavalle, Egidio, Silvestro e Andrea da Spello.
 Nei pressi della grotta di San Francesco si trova un leccio secolare dove erroneamente molti credono ebbe luogo la predica agli uccelli di San Francesco che in realtà le fonti storiche attestano essere avvenuta fuori del comune di Assisi. Tradizione vuole che il burrone che si trova nei pressi del monastero sia in realtà il letto di un fiume, oggi in secca, le cui acque furono prosciugate dal santo poiché disturbavano la sua meditazione e quella dei suoi discepoli.
Comperiamo dei panini di ”plastica” dal rivenditore e dopo 3 km di strada i nostri compagni di viaggio salgono a sinistra mentre io e Daniela scendiamo verso destra. Alle 13 raggiungiamo le indicazioni su un cartello bianco e rosso posto su un tornante: a sinistra si va con il sent. 54 per Sasso Rosso, la Bolsella e Fonte Bregno (a 50’) e sempre a sinistra con il sent. 56 per Sasso Rosso, Gabbiano e il Lago mentre noi prendiamo a destra sempre lungo la strada asfaltata per San Benedetto (10’). L’Eremo delle Carceri è dato ad 1h20’.
Siamo circondati da acero trilobo, maggiociondolo, carpinella, orniello, roverella, nocciolo. Ci sono molte cicale.
L’Abbazia di San Benedetto al Subasio sorge isolata in mezzo ai boschi nel versante occidentale del monte Subasio. Si tratta di una potente abbazia benedettina documentata a partire dal 1051, che negli anni immediatamente successivi al mille amministrava molti dei territori che gravitavano attorno ad Assisi.
 L’abbazia, recentemente abbandonata a causa dei danni provocati dal terremoto, permette di immergersi all’interno di un affascinante verde paesaggio.
La chiesa si presenta a navata unica con pianta a croce latina e con la zona presbiteriale rialzata. Al di sotto del presbiterio si apre la cripta romanica suddivisa in cinque piccole navate da una serie di colonne. La copertura, in parte crollata o forse mai ultimata, è caratterizzata da due archi.
Della struttura romanica restano invece le mura perimetrali, l'abside primitiva semicircolare e la cripta della seconda metà dell’XI secolo.
La nuova chiesa abbaziale, costruita con l’asse centrale perpendicolare alla precedente, raggiunse il massimo del prestigio nel XIII secolo, quando erano alle sue dipendenze chiese, ospedali e piccole cappelle sparse in tutto il territorio circostante.
Nel 1260 l’abbazia passò ai monaci cistercensi. Sul finire del XIII secolo divenne spesso rifugio dei gruppi di fuoriusciti banditi dalla città di Assisi nelle frequenti lotte tra famiglie rivali.
Nel 1391 venne conquistata dall’esercito perugino e nel 1339 gli Assisani ne distrussero gli apparati difensivi per evitare che i fuorusciti si impadronissero stabilmente del complesso.
Nel 1860, con la soppressione degli enti ecclesiastici, venne venduta a privati.
Solo nel 1945 i benedettini di San Pietro di Assisi hanno ripreso possesso dell'abbazia ed hanno iniziato un lungo lavoro di restauro durato circa un ventennio.
L’aspetto attuale del complesso è caratterizzato da edifici in parte restaurati in parte allo stato di rudere.
Nonostante l’abate non lo richiedesse, San Francesco si impegnò a corrispondere un affitto annuo (un cestello di pesci) per la concessione della Porziuncola. L'abate volle contraccambiare, offrendo l'olio per la lampada della cappella. Lo scambio di doni tra i frati minori della Porziuncola ed i benedettini si celebra ancora oggi il 21 marzo presso l’abbazia di San Pietro.
14:20. Dopo aver visitato l’abbazia riprendiamo la strada asfaltata in salita e raggiungiamo il bivio precedente imboccando verso Spello il sent. 56, scosceso, sconnesso (ghiaino) e scivoloso in discesa fra carpinelle, sanguinelle, ilex aquifolium, pungitopo, leccio, roverelle tipicamente mediterranee.
Alla fine del sentierino in discesa a circa 650 m di quota prendiamo a sinistra perché il cartello sembra indicare di qua, anche se non essendoci delle frecce non si capisce il verso ma solo la direzione.
15:20. Siamo a 690 m di quota e per la prima volta vediamo un importante bosco fitto di abeti rossi d’impianto d’alto fusto.
Decidiamo di telefonare agli amici del Knedelgrupquando sbuchiamo dal bosco nella collina che sovrasta Spello. Scopriamo che sono poco avanti a noi, tra gli oliveti. Quando li raggiungiamo scopriamo che, come noi, stanno soffrendo la sete. Sarà, per tutti, un’arrembaggio alla fontanella posta alle porte di Spello e soprattutto per l’amico quattrozampe Gala che ci accompagna sarà un sollievo potersi dissetare e riparare un po’ dal sole.



sabato 27 luglio 2013

La via Francigena di San Francesco secondo il Knedelgrup. Parte Prima: Perugia-Assisi.

Quest’anno cade il decennale del Knedelgrup. L’età avanza e, all’opposto, la volontà di camminare con lo zaino in montagna cala. Perciò decidiamo di camminare sì, ma sul piano. Scegliamo l’Umbria, e in particolare la via Francigena di San Francesco, ma alla fine la fatica non sarà poca, a causa degli effetti della settimana più calda dell’anno.
Rimarremo molto soddisfatti del percorso, partendo da Perugia, Valfabbrica, Assisi, Spello, Bevagna, Montefalco e Trevi, tanto da riconciliarci con il nostro splendido paese, pur provato dalla crisi economica, lo stallo politico, la crisi d'identità.
I borghi del centro Italia sono splendidi, le persone cordiali e ospitali, e non comprendiamo se non pensando alla crisi la gran quantità di stanze libere nelle strutture che ci ospitano.
Enzo si occupa dell’individuazione del percorso ideale (una ventina di chilometri al giorno, poco dislivello, paesaggi naturali), Daniela della logistica per il pernottamento.
Sedici i partecipanti, alcuni dei quali hanno partecipato a tutte e 11 le escursioni del decennale del Knedelgrup (questa è l’undicesima uscita che chiude il decennale): Claudia (10), Nevio (8), Susy (11), Erni (10), Beppe (5), Dander (11), Enzo (11), Daniela (11), Dario (11), Sergio (5), Grazia (6), Sonia (10), Nico (10), Erica (3), Roberto (1), Pierpaolo (1).
Dario e Daniela partono in anticipo, per raggiungere in treno Perugia e quindi recarsi a piedi a Ripa, dopo 21 km di percorso in 4 ore, guadagnando complessivamente 400 metri di quota.
Alle 17 lasciamo Perugia; dalla cattedrale di San Lorenzo imbocchiamo la strada lastricata che lievemente in discesa passa lungo le mura e ci porta con un cartello blu e giallo sulle orme di San Francesco.

Tutto il primo tratto (alcuni chilometri) da Perugia è sulla strada asfaltata, tra le automobili, anche se dopo qualche chilometro il paesaggio si apre. Fa molto caldo. Finalmente dopo una curva e controcurva si prende a destra per uno sterrato, ma non seguendo la prima indicazione che porta in un punto morto, ma seguendo un secondo cartello. 50 m più avanti, con la strada per Pretola, asfaltata, con un filare di querce si prosegue facendo attenzione a non sbagliare percorso portandosi a sinistra, ma seguendo ancora in giù leggermente a destra la strada fino ad arrivare ad un prato dove si segue verso Pretola.
Alle 18:45 arriviamo a Pretola. Anche il tratto dalla torre di Pretola proseguendo lungo il fiume non è molto ben segnato: si costeggia un campo sportivo e successivamente il Tevere. Si passano dei canneti lasciando a sinistra i sentierini che portano al fiume fino a raggiungere un ampio ponte pedonale con arcate in cemento (2-3 metri di larghezza) costruito nel 1993. Si passano i circa 200 m del ponte che supera l’ansa disegnata dal Tevere e alla fine, sulla sinistra, si può riempire d’acqua le borracce grazie ad una fontanella presente in un giardino pubblico. Il sentiero prosegue invece a destra per piegare quasi subito nuovamente di 180 gradi.
Superiamo Sant’Egidio alle 20:30. Siamo molto provati ed abbiamo ancora abbastanza strada da percorrere per Ripa, dove abbiamo appena individuato, con Internet, l’agriturismo Cannalicchio. Ci aspettano qui gli amabili Elio e Mirella, che dopo averci un po’ dissetato ci accompagnano al nostro appartamento.
 
 
 
 
 
 
Il giorno seguente rimaniamo ospiti dello splendido agriturismo, dove soggiorniamo completamente da soli, circondati dalla campagna con gli oliveti, i girasoli, la lavanda, godendo della grande e fresca piscina.
 
 
Il 27 luglio, giorno dell’incontro con gli altri componenti del Knedelgrup, Mirella ci accompagna in automobile fino a Valfabbrica, risparmiandoci 10 km di strada asfaltata percorsa dalle automobili.
Va detto che questo è un aspetto deleterio di queste prime giornate: gran parte del tragitto della via Francigena da Perugia si percorre su strada asfaltata tra le automobili, avendo anche poco margine stradale per una camminata sicura. E’ per questo che camminiamo sempre contromano, sul lato sinistro della strada, così da poter vedere per tempo le automobili che ci vengono incontro.
Ad un quarto d’ora dalla partenza da Valfabbrica si piega a destra lungo una strada sterrata. Qui incontriamo un nutrito gruppo di giovani lombardi accompagnati di un Don. Lungo questo tratto che porta nel bosco verso la pieve abbiamo dei filari di pioppi e salici lungo il torrente e un bel campo di malva mentre si prosegue lungo un itinerario con dei cartelli che riportano “Sentiero francescano della pace, secondo tratto Valfabbrica-Pieve di San Nicolò - Fosso Le lupe”.
9:15. Questo tratto è piacevole: ascoltando il canto degli uccellini vediamo un contorno di alberi di sanguinella, acero campestre, roverelle e poi piante di salvia su un ampio sentiero di 2 metri che costeggia un letto di torrente asciutto pieno di equiseti e rovo. Siamo perfettamente coperti dal bosco di querce; sulla destra vi è una azienda agrituristico venatoria recintata mentre sulla sinistra c’è il torrentello. Abbiamo ancora l’acero, la felce Pteridium acquilinum, olmi, cornioli. Il tratto è bello e piacevole anche perché ombreggiato e fresco.
9:20. Sulla strada c’è un rigagnolo d’acqua che rende fangoso il sentiero. Vi sono dei frassini. Si inizia ad arrampicarsi un po’ di più.
9:30. Fortunatamente il tratto è coperto da carpini, frassini, coronilla.. infatti fa molto caldo e la stradina scavata da canalicoli è ripidissima e faticosa a percorrersi.
9:45. Arriviamo ad un’ampia radura con sulla sinistra un campo di spighe di grano. Sentiamo frinire le cicale. Ci sono abbondanti ginestre e si vedono delle prime casette. Sui fiori sono presenti molte farfalle bianche con l’occhiello nero. Si prosegue in salita, poco sotto i 600 m di quota. Una bella caratteristica del paesaggio che notiamo più volte è la presenza di un’unica quercia solitaria al centro di un campo, probabilmente con lo scopo di dare un po’ di sollievo, con l’ombra, al contadino che lavora sotto al sole.
Alle 10:00 si conclude l’eterna salita presso un bivio che indica “Assisi - La Verna - Valfabbrica -Gubbio”. Scendiamo sempre lungo l’indicazione della via Francigena di San Francesco circondati da campi coltivati, sempre contraddistinti da un albero solitario al centro del campo. Con questa discesa ci congiungiamo ad una strada sterrata che proviene da destra e proseguiamo in leggera discesa a sinistra. Poi la strada si inerpica nuovamente. Caratteristico è l’ingresso delle ville agresti con cancellata in ferro e colonne in mattone rosso.
Dopo 10’ arriviamo alla Pieve di San Niccolò dove, salendo i gradini, sulla destra, ci abbeveriamo ad una bella fontanella.
Ripartiamo dalla Pieve alle 10:45 entrando su una strada asfaltata non trafficata. Il paesaggio attorno è formato da oliveti, campi da sfalcio e davanti a noi spicca in lontananza la rocca di Assisi.
Alle 11:00, in corrispondenza ad un grande cartello che riporta informazioni sulla vita di San Francesco, ci buttiamo a sinistra su una sterrata che passa tra le campagne. Ci sono l’orniello, il ginepro, la roverella, la ginestra e sempre il solito accompagnamento sonoro delle cicale. Sulla sinistra è evidente la presenza di flysch. Si scende abbastanza rapidamente lungo la campagna seguendo chiare indicazioni. Troviamo la canna Arundo donax, l’asparago, la ginestra, la robinia, il pioppo nero. Il tratto è molto scosceso e ghiaioso, quindi si rischia di scivolare. Si ricomincia la salita e si trovano il pioppo bianco e il pioppo tremolo. Nel cielo vola sui campi aperti l’albanella reale.
Con la rocca sempre avanti a noi passiamo begli uliveti e vigneti. Alla fine della discesa, in prossimità di un sito con grandi cartelli che parlano di san Fransceco e una strada sterrata che scende dalla destra, si guada il torrente.
Alle 11:40 proseguiamo in un continuo saliscendi: a sinistra abbiamo un ampio spazio occupato dal vigneto, con uno splendido casolare. Di nuovo su strada asfaltata, notiamo le foglie regolarmente alterne dell’olmo. Oltre alla farfalla bianca con occhiello nero c’è la Farfalla zebrata (Iphiclides) gialla-blu-nera-arancione con i bei speroni sul posteriore. Vediamo un gheppio in volo, a caccia di micromammiferi.
A mezzogiorno, sempre con la rocca ben visibile avanti a noi, arriviamo sulla strada asfaltata (statua di Padre Pio) che imbocchiamo verso sinistra (non a destra, come verrebbe da fare vedendo la vicinanza della rocca). Questo tratto è su asfalto e bisogna camminare sul margine perché 2-3 macchine al minuto ci passano. E’ il primo tratto di oggi su asfalto. In poco tempo, alle 12:10 arriviamo ad un ampio parcheggio con grandi frassini maggiori ed una imponente quercia posta davanti al bel ponte medievale.


 
L’ultimo tratto dal ponte medievale ad Assisi è su asfalto con una piccola copertura di bosco ma molto ripida e faticosa, con la presenza sempre di automobili.
Ad Assisi incontriamo i compagni di viaggio, alcuni giunti qui in treno, altri in automobile. Pernottiamo presso il convento delle Benedettine in via Apollinare. Il convento è molto bello e silenzioso, e commentiamo che “fare la suora” per qualche tempo non dev’essere niente male, lontani dal logorio e dal caos cittadino lavorativo.

 Il torrido tardo-pomeriggio e la sera li passiamo a visitare la città, rimanendo in particolare colpiti dalla bellezza della Basilica di San Francesco e della sua cripta. Assisi ha un fascino medievale, si respira la storia, ed è ancora più suggestiva al calar del sole. Coinvolgente anche il concerto dei 500 fiati diretto nella piazza centrale soffiando un Rossini.

Domani una dura salita ci aspetta: l’Eremo delle Carceri e poi giù, fino a Spello. Temiamo il caldo, e facciamo bene perché i telegiornali non fanno che segnalare le conseguenze nefaste del periodo più caldo dell’anno.

mercoledì 24 luglio 2013

Nosy Be, la foresta di Lokobé

Nosy Be, è un'isola nel nord del Madagascar.
Dista pochi chilometri dalla "Terra madre", è questo il nome che viene dato alla grande isola dai locali, ed è un'isola ricca di essenze....ylang ylang, vaniglia, cacao, caffè, pepe.
Ecco il resoconto della prima escursione sull'isola nel luglio del 2013.
Dal resort della Valtur, Amarina, partiamo alle 7 con Maxwell Soatra, una trentaquattrenne guida turistica incontrata casualmente nel corso di una nostra autonoma escursione fuori dai confini della proprietà Valtur. Ci incontriamo all'esterno della seconda sbarra, in prossimità del villaggio malgascio; questa sbarra è stata posta alcuni anni fa in aggiunta alla prima perché i beach boys si avvicinavano troppo al resort per proporre le loro escursioni e la proprietà non gradiva.
Percorriamo il tratto sterrato che ci porta alla strada asfaltata, costruita dai cinesi come contropartita per lo sfruttamento del mare dal quale prelevano cetrioli di mare (oloturie) per farne una specie di plastica. Il tratto asfaltato è ben transitabile, anche se di tanto in tanto Maxwell, che percorre dal 2007 ogni giorno questa strada e la conosce perfettamente, rallenta di colpo per affrontare delle buche trasversali che romperebbero le già provate sospensioni del mezzo.
La prima tappa è il parco naturale della foresta Lokobé, e alle 8 siamo già sulla piroga condotta da un ragazzo del luogo, da Maxwell e dal suo amico che ci accompagna con il compito di realizzare delle riprese per il sito promozionale di Maxwell. I tre remano incessantemente per circa 40' finché si arriva al villaggio Ampassypoi, che significa "poche persone". La riserva naturale, che è stata istituita nel 1960 subito dopo la conquista dell'indipendenza, si presenta subito in tutto il suo fascino.
Un rapido passaggio davanti alle solite bancarelle che vendono tartarughe, coccodrilli, lemuri in legno e in erba intrecciata e si prosegue immediatamente per l'interno della foresta.
Maxwell ci ha proposto il giro completo dell'isola per 50 euro a persona (siamo noi due soli) e con altri 20 euro ha aggiunto al pacchetto questa ulteriore escursione, che altrimenti andava fatta, da sola, un altro giorno, con molto dispendio di tempo per raggiungere il sito.



La foresta di Sambirano che ricopre la riserva è l'habitat naturale dell'Eulemur macaco, che in questa foresta svolge un ruolo molto importante nella disseminazione dei semi favorendo la rigenerazione naturale della foresta.
Maxwell ci ha subito fatto notare il notevole dimorfismo sessuale sotto forma di dicromatismo: maschi a pelo nero, talvolta picchettato di rossiccio sugli arti e sul tronco, e femmine con un manto bruno-rossiccio con sfumature color porpora sul dorso, mentre la zona ventrale del corpo è biancastra. Ambo i sessi possiedono una "barba" a collana, che nel maschio è nera, mentre nella femmina è bianco crema.

Nella foresta abbiamo subito fortuna: un gruppo di 4 lemuri, 3 maschi (neri) e una femmina (marrone) si avvicinano. Maxwell ha portato con sé due banane (di più è proibito per non "viziare" troppo gli animali) cosicché i pre-primati ci guardano con interesse e circospezione fino a decidersi a sfamarsi.



Il trucco per invitarli a superare il timore è di non guadarli in faccia, tendere la mano con un boccone di banana e farsi salire addosso dall'animale che, con atteggiamenti tipicamente umani, afferra la tua mano con il cibo avvicinandola a sé. Abbiamo due ore a disposizione, ma Maxwell è preoccupato che non si riesca a vedere tutto. Seguiamo la nostra guida in un contorto ma ben tracciato sentiero che s'inoltra nella selva. I rumori della foresta sono così sacri, che ti vien da parlare sottovoce. Il ragazzo che ci accompagna dimostra subito una gran conoscenza del territorio oltre che un grande occhio quando individua appostato su un ramo un geco così ben mimetizzato, nonostante i suoi 20 cm, che Daniela guardandolo da vicino continua a sostenere che si tratta di corteccia, finché l'animale, sollecitato dalla guida, non muove leggermente la testa, del tutto simile alla coda.
Non facciamo in tempo a scattare le foto che veniamo invitati a raggiungere una minuscola radura alla base della quale, tra il fogliame, scorgiamo un grosso Boa constrictor di più di 2 metri ed almeno una quindicina di kg di peso. Gli adulti nel Madagascar misurano in genere tra il metro e il metro e mezzo, quindi questo esemplare è straordinariamente grande. Maxwell ci racconta che il Boa constrictor è un serpente molto temuto poiché capace di uccidere anche grandi prede avvolgendole e soffocandole nelle sue spire; egli è visibilmente entusiasta perché non ne ha mai visto uno così grande, e quasi si offende quando, scherzando, ipotizzo che il boa sia stato sistemato lì poco prima da lui. In realtà scopriamo che nella foresta ci sono almeno una ventina di questi grossi serpenti, che possono diventare pericolosi di sera quando si avvicinano al villaggio per catturare qualche gallina. Un Boa grosso come il nostro è in grado di divorare in poco tempo un lemure. Il nostro comunque si dimostra abbastanza docile: preso immediatamente dietro alla testa, si lascia sollevare e disporre sulle spalle della nostra guida, che orgogliosamente si fa immortalare con il trofeo al collo, assieme ai suoi due colleghi.

Serpente in parte arboricolo e un ottimo predatore capace di catturare anche uccelli. Sebbene normalmente pacifico ha un morso preciso, è veloce e può fare abbastanza male, facendo perdere molto sangue e rischiando di provocare l'insorgere di infezioni. Il periodo di gestazione, che sebbene siano animali che fanno le uova avviene per intero all'interno del serpente, dura 105 giorni, allo scadere dei quali mamma boa partorirà una media di 20 cuccioli perfettamente formati insieme al sacco vitellino che fino a quel momento li ha protetti.
Non sazi di avventura, proseguiamo all'interno della foresta in religioso silenzio, finché Maxwell, con un atteggiamento che è tipico anche di noi europei, non ci fa capire che ha scoperto ciò che cercava: si accuccia sulle gambe, pugni chiusi e gomiti piegati sulle ginocchia, testa sollevata verso l'alto con il sorriso aperto di chi ha appena individuato lo schivo lemure notturno che stava cercando. Grazie alla prolunga di 2 metri della mia Gopro posso riprendere da vicino tra il fogliame, a 4 metri d'altezza, gli occhi spalancati e ciechi per la quantità di luce del piccolo timoroso lemure, che "osserva il rumore", più che vederla, della telecamerina che struscia sulle foglie.
Qualche fotografia e proseguiamo finché scopriamo nascosto sul terreno il più piccolo camaleonte della foresta e del mondo: è la Brookesia minima, grande quanto un pollice, di colore marrone chiaro, il rettile si fa fotografare e riprendere accoccolato nella mano di Maxwell, che pazientemente attende che il macro canon 100 riesca a mettere a fuoco il raro soggetto. Viste le microscopiche dimensioni, queste specie sono tutt'altro che semplici da trovare, anche perché durante il giorno si nascondono nel letto di foglie che ricopre il terreno della foresta pluviale.
Rientriamo passando per il paese, estasiati dal ritmo profuso dal gruppetto di 6-7 bimbi tra i 2 e i 6 anni che, ballando, intrattengono il visitatore con un ritmo incalzante. Qualche piccolo acquisto e riprendiamo la piroga, stavolta passando tra le mangrovie perché la marea si è alzata. Oltre alle mangrovie lungo il percorso vediamo l'albero dei viaggiatori, una specie di palma a ventaglio con le foglie disposte sullo stesso piano, che viene usato per la copertura dei tetti, così da mantenere l'interno delle case fresco per almeno 5 anni. Il nome malgascio è RAFINALA ed è il simbolo del Madagascar. Maxwell ci spiega che per potersi costruire una casa che resista alla stagione delle piogge per almeno 10-15 anni bisogna usare le mangrovie, ma sull'isola ce ne sono poche e quindi una coppia che vuol metter su casa deve avere abbastanza lavoro e abbastanza soldi da potersi procurare sull'isola grande la materia prima.

Ho caricato su youtube 15 minuti di video dell'escursione, all'indirizzo http://youtu.be/IA0D-2vsdlE