Castelrotto: la fondazione

Il Knedelgrup nasce in maniera spontanea nell' estate del 2004 in quel di Castelrotto, ridente paesino dell'Alto Adige ai piedi della famosa Punta Santer. Eravamo andati a trascorrere una vacanza in montagna e dopo aver gustato alla sagra paesana i mitici knedel, Nico ha coniato il nome del gruppo che si è sempre distinto per avere al suo interno dei validi bongustai.

Il Knedelgrup, formazione 2008

Il Knedelgrup, formazione 2008

martedì 20 agosto 2013

Nosy Be: il resort Amarina, la visita della foresta Lokobe dell'albero sacro e della distilleria di ylang ylang.

http://www.youtube.com/watch?v=FmjO1zh2kKM&hd=1
Questo è il link per il video che abbiamo realizzato in Madagascar, in poco più di una settimana di soggiorno. In realtà la nostra meta è stata Nosy Be, un'isola di 30 km che si trova a nord-est della Grande Isola.
Contatti per le escursioni, per chi interessato a far da solo:
Nostra guida Maxwell +261320205064. email mwell721@gmail.com. code facebook 30061979
Altra Guida: Bernard: +261 328893020   mail fagnonybernardremi@yahoo.fr

NOSY BE IN MADAGASCAR
1-2 luglio
Il viaggio lo dobbiamo agli amici che hanno contribuito omaggiandoci parte della vacanza proposta dalla Julia Viaggi di Trieste. La paziente Patrizia ha assecondato le nostre indecisioni passando dalla Turchia, alla Grecia, al Kenya per approdare in Madagascar.
Partiamo alle 12 da Trieste così da raggiungere Milano Malpensa dopo 6 ore, a causa del ribaltamento in autostrada di un camion carico di bottiglie di vetro. L’aereo della Meridiana parte con più di un’ora di ritardo per la mancata consegna di parte dei pasti. Scalo a Roma e ripartenza per 8 ore e mezza di volo. Una notte molto agitata a causa dello spazio ridotto tra i sedili, che costringe entrambi alla disperata e inutile ricerca di posizioni confortevoli. Pagheremo la sera questa insonnia forzata.


L’arrivo a Nosy Be a mezzogiorno è un compendio di quel che avverrà nella settimana: spiccioli alla mano perché per ogni passaggio viene richiesta una mancia. Scopriamo che l’atteso pagamento di 70 euro a testa per il visto d’ingresso è stato eliminato di recente, così potremo giocarci quell’importo nelle mance dei giorni seguenti. Daniela inizia con un generoso contributo di 8 euro alla guardia che controlla la dogana che, al pari delle donne preposte al timbro del passaporto, non si fa scrupoli a sussurrare “mancia?”.
Appena usciti dall’aereoporto di Nosy Be, piccolo e spoglio ma pieno di addetti, dotato di pale anni cinquanta stile America latina per rinfrescare l’ambiente, si viene assaliti da una massa di beach boys che ti consegnano i loro scarni fogli-depliant con le offerte per le uscite. Scopriremo nei giorni seguenti che questa è l’unica loro occasione per giocarsi le possibilità di lavoro perché nei villaggi, che propongono escursioni in concorrenza, è proibita la loro presenza.

Saliamo sul pulmino polveroso dopo aver fatto conoscenza della nostra animatrice Alessia, che ci invita a lasciare a terra le valige, caricate su un pulmino a parte. Quaranta minuti ci separano dalla meta, che raggiungiamo in senso antiorario percorrendo dapprima l’unica strada asfaltata dell’isola e nel quarto d’ora finale uno sterrato molto sconnesso sul quale ci muoveremo anche i giorni successivi, dal momento che il  nostro resort Valtur è confinato in una splendida ed appartata area a nord-ovest dell’isola.
Giunti a destinazione, veniamo accolti con un gradito cocktail di benvenuto che attenua almeno un po’ la delusione per la pessima cena servita da Meridiana; in particolare si poteva fare a meno del blocco di cemento rappresentato dai ravioli bollenti.
Il resort che ci ospita è pieno solo per un terzo, causa il periodo: siamo in soli 40 ospiti, il che rende la spiaggia privata di quasi un chilometro ancora più deserta. A noi, naturalmente, va bene così, ma se qualcuno cerca vita e movida, deve andare altrove. L’altra bella sorpresa è data dalla stanza, che in realtà è una suite spaziale. Si trova ad una trentina di metri dal mare ed ha una superficie corrispondente a quella delle tre stanze del piano terra. Si è trattato di una gradita sorpresa offerta dall’agenzia. Il grande salone-camera da letto ha un letto king-size di 2 metri e 20 di larghezza, un divano, una scrivania, due tavolini, tv, mobile bar e panchetta disposti su una lunghezza di una dozzina di metri. Concludono l’allestimento un piccolo gabinetto ed un enorme bagno con doccia, vasca da bagno, lavandini doppi e un simpatico appendi accappatoi composto da un tronco di mangrovia. Lo spazioso armadio a muro accoglie la cassaforte ed i nostri 20+13 kg di bagaglio. Il margine di 7 kg di valige ce lo giocheremo al ritorno portando con noi un po’ di acquisti. L’ampio poggiolo esterno dal quale ci godremo il mare, il tramonto e la brezza serale, è fornito di un divano soffice con tavolino, due pesantissime sedie in legno massiccio e due invitanti sedie sdraio.
La giornata passa tranquillamente in relax cosiccome la successiva, usate per ritemprarsi e per giocare quattro colpi di pallavolo.

Il direttore Giovanni, assieme agli animatori Alessia (che si dedica ai ragazzi), Rita (responsabile delle camere), Valentina (rapporti con gli ospiti e organizzazione delle uscite), Mimmo (simpatico musicista bassista-chitarrista-cantante-indovinellista) e Gianluca (organizzatore di giochi sulla spiaggia e snorkeling) ci avvertono da subito che l’Amarina non è un villaggio classico ma soft, nel senso che gli animatori non incalzano gli ospiti con richieste di partecipazione ad attività “spontanee” ma che il motto è quello dell’isola: “MORA MORA”, cioè calma e fai quello che ritieni di fare. E’ una precisazione che io e Daniela, abituati alle vacanze “fai a te” apprezziamo molto.
In questi primi due giorni prenderemo confidenza con il servizio soft-all-inclusive: abbondanti colazioni, pranzi e cene, vino della casa o altre bibite serviti da solerti camerieri pronti a riempire il bicchiere quanto a sottrarre il piatto appena terminato l’ultimo boccone. E’ compresa anche l’illimitato uso del servizio bar, che peraltro sfrutteremo molto marginalmente.


4 luglio
Alle 7 abbiamo appuntamento con la nostra guida turistica personale, Maxwell, incontrato casualmente nel corso di una nostra autonoma escursione fuori dai confini della proprietà Valtur. Ci incontriamo all’esterno della seconda sbarra, in prossimità del villaggio malgascio; questa sbarra è stata posta alcuni anni fa in aggiunta alla prima perché i beach boys si avvicinavano troppo al resort per proporre le loro escursioni e la proprietà non gradiva.
Percorriamo il tratto sterrato che ci porta alla strada asfaltata, costruita dai cinesi come contropartita per lo sfruttamento del mare dal quale prelevano cetrioli di mare (oloturie) per farne una specie di plastica. Il tratto asfaltato è ben transitabile, anche se di tanto in tanto Maxwell, che percorre dal 2007 ogni giorno questa strada e la conosce perfettamente, rallenta di colpo per affrontare delle buche trasversali che romperebbero le già provate sospensioni del mezzo.
La prima tappa è il parco naturale della foresta Lokobé, della quale parliamo nel post http://knedel-grup.blogspot.it/2013/07/nosy-be-la-foresta-di-lokobe.html
Ripartiamo allora da dove eravamo rimasti, cioè da quando riprendiamo la piroga per lasciare Lokobé.
Lasciamo Lokobé alle 11:30 per raggiungere in meno di 20 minuti la distilleria di ylang ylang. I ragazzi che ci lavorano, una decina, passano lì 24 ore al giorno, nutrendo il fuoco con il legname raccolto nella vicina foresta. La distilleria è stata realizzata da un prete molti anni fa e recentemente acquistata dall’uomo più ricco dell’isola, un indiano. Il procedimento è molto dispendioso: da 100 kg di fiori di ylang ylang si ricavano circa 2 litri di distillato, dopo un gran lavoro di “cottura”. La tecnologia è abbastanza semplice e primordiale: delle grosse caldaie arrugginite, in ferro, trasmettono il calore e ai fiori dopodiché l’acqua nella quale essi sono immersi, mescolata all’essenza, entra in delle bottiglie in vetro (sembra una vecchia bottiglia di Coca-cola), l’acqua più pesante scende verso il fondo e da lì viene recuperata con una cannuccia a mo’ di vaso comunicante, lasciando la preziosa e rara essenza sulla superficie. Il prodotto di massima qualità è così costoso che una boccetta di circa 1/10 di litro corrisponde alla paga di un uomo per 3 mesi. Figurarsi a romperla!
Il ylang ylang viene usato come fissatore dei profumi e per questo quello di massima qualità viene acquistato dai francesi. Quello di seconda qualità è quel che abbiamo comperato noi: al mercato una boccetta ci costa una decina di euro. Il cocco invece ci sosta meno di un euro a fiaschetta. Il motto “mora mora”, cioè “calma, calma” si addice a questi lavoratori che svolgono il loro lavoro con molta tranquillità, ma va detto che fa molto caldo e che le condizioni di sicurezza sono ben lontane dagli standard italiani. In ogni caso impressiona pensare che svolgano questo lavoro per poco più di 50 euro al mese.
L’olio essenziale di Ylang ylang se inalato svolge un'azione rilassante sul sistema nervoso, attenuandone i disturbi, come ansia, depressione, irritabilità, nervosismo e insonnia. L’essenza è in grado di abbassare la pressione arteriosa e di attenuare i disturbi provocati sul sistema cardio-circolatorio dallo stress, come palpitazioni e tachicardia. E’ un olio essenziale importante nell’erotismo e già i coloni francesi la definirono "profumo afrodisiaco", perché veniva usato negli harem insieme ad altri olii essenziali. Per la pelle è indicato in caso di produzione eccessiva di sebo e acne: se diluito qualche goccia nel detergente per il viso, il derma recupera tono e luminosità.
La visita alla distilleria non è imperdibile: interessante sì, ma la natura qui è molto più attraente. Così dopo nemmeno mezz’ora partiamo alla volta del mercato di Hell-Ville per poi tornare nella natura.
Ad Hell-Ville visitiamo il mercato dove Daniela fa incetta di spezie e di olio di cocco e ylang ylang, lasciando alla fortunata venditrice una quarantina di euro. Ci impressionano i grossi granchi delle mangrovie ancora vivi sepolti nel fango, in delle tinozze superaffollate. Lascia un po’ perplessi l’igiene, che qui è un optional: un europeo probabilmente si ammala solo a guardare la quantità di mosche che frequentano la carne ammassata su di un tagliere, ma la gente di qui non sembra avere problemi con i batteri. Mosche ovunque, anche sull’ insalata. L’acqua del pozzo è la nostra acqua minerale in bottiglia.

Poco prima dell’una lasciamo la capitale. Iniziamo ad avere fame, ma prima ci aspetta l’albero sacro, che raggiungiamo in poco più di un quarto d’ora. La ragazza dal volto dipinto (maschera di bellezza? Vezzo? Segnale di un ciclo mestruale? Ne abbiamo sentite molte…) ci conduce all’interno del recinto dove è posto l’albero che ha come sentinelle i soliti lemuri Macaco.
Nel 1837 la regina Sakalava Tsomieko sbarcò nella baia di Ampasindava con 12 mila marinai, nello stesso tempo degli indigeni. Per questo fatto, un Ficus religiosa fu piantato in suo onore. La superficie coperta dall’albero è di 5 mila metri quadrati; questa maestosità è stata raggiunta in soli 200 anni, a partire da un tronco principale, ora piuttosto minuto, dal quale si sono sviluppate queste enormi radici aeree che una volta giunte al suolo hanno dato vita a nuovi tronchi figli della stessa pianta. L’albero maestoso è in alcuni punti circondato da drappi rossi e bianchi, segni di sacralità in questo paese. Il Ficus religiosa è venerato da tutte le religioni del Madagascar e tutte le religioni sono accomunate da una forte componente animistica. Adolfo, il trentaseienne malgascio che accompagna i gruppi della Valtur, ci spiegherà che ogni animale e ogni pianta del creato ha in sé un’anima.


Alle 15:30 siamo alla cascata situata 9 km ad ovest di Hell-Ville nel villaggio d’Androandroatra, che è un sito naturale colonizzato da una flora lussureggiante. La cascata si riversa in un lago nel quale gli abitanti delle case vicine si bagnano. Siano da soli quando entriamo nell’anfiteatro ampio più di una cinquantina di metri, ma poi passeranno a farci visita un gruppo di zebù con il loro padrone e in seguito un gruppo di giovani donne adolescenti del villaggio, che usano il grande bacino creato dalla cascata per rinfrescarsi e giocare. Joe, io e Maxwell ci immergiamo nell’acqua fresca e raggiungono la base della cascata, che in questa stagione è povera d’acqua. Lo stillicidio lungo le scure pareti genera l’habitat ideale per enormi felci che attecchiscono sulle superfici verticali. I drappi rossi e bianchi posti su un albero indicano che anche questo sito è un importante luogo culturale per i Sakalava. Qualche fotografia e ripresa, poi ci avviamo verso i laghi vulcanici.


I laghi vulcanici sono luoghi sacri e poco accessibili; sulle loro sponde vivono i coccodrilli e una miriade di uccelli. Gli abitanti dichiarano di aver talvolta visto questi rettili che, nella stagione delle piogge, abbandonano l’area grazie all’enorme quantità d’acqua che alza enormemente il livello del lago.

Prendiamo la strada per la cima del mont Passot, di 330 metri, in tempo per goderci il tramonto che si manifesta in tutta la sua bellezza alle 17:30. Le immancabili bancarelle propongono questa volta anche delle scatolette in legno con aperture segrete e degli album di fotografie  in carta realizzata a mano.
E’ ora di rientrare. Alle 18 appena passate, con ormai un buio profondo, entriamo nel resort. A Maxwell spettano ancora quella quarantina di km che in circa un’ora lo riporteranno dalla moglie e dai due figli di 11 e 12 anni. Più di due, ci confida, non può permetterseli, visto che già la scuola privata costa qualche decina di euro al mese e quella pubblica, dice, è inconsistente.

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