Castelrotto: la fondazione

Il Knedelgrup nasce in maniera spontanea nell' estate del 2004 in quel di Castelrotto, ridente paesino dell'Alto Adige ai piedi della famosa Punta Santer. Eravamo andati a trascorrere una vacanza in montagna e dopo aver gustato alla sagra paesana i mitici knedel, Nico ha coniato il nome del gruppo che si è sempre distinto per avere al suo interno dei validi bongustai.

Il Knedelgrup, formazione 2008

Il Knedelgrup, formazione 2008

sabato 5 ottobre 2013

Circolo dei Lettori di Trieste

Sabato, 5 ottobre alle 18:00, presso la Casa della Musica, via Capitelli 3 a Trieste l'associazione culturale IRREALE - NARRATIVAKm0 presenta il "Circolo dei Lettori".
Uno spazio per promuovere la narrativa e gli autori locali.
Tutti gli incontri si svolgeranno presso la libreria "Ubik Tergesteo" dalle 18.00 alle 19:00.
Per partecipare ad uno o più gruppi di lettura è obbligatorio iscriversi all'Associazione Irreale narrativa Km0.
La tessera associativa è gratuita per l'anno 2013. A partire dal 1/1/2014 il costo della quota annuale sarà di 10 €.
La quota di partecipazione ad ogni singolo gruppo di lettura (due incontri) è di 5 €.
Le iscrizioni verranno accettate il 5/10, in occasione della presentazione, presso la Casa della Musica e a partire dal 7/10 presso la libreria Ubik da lunedì a venerdì dalle 17:00 alle 19:00 sino ad esaurimento dei posti disponibili.
Per ulteriori informazioni : www.circolodeilettoritrieste.it oppure scrivere a circolodeilettoritrieste@gmail.com


Riportiamo il programma 2013/2014


Gruppo di lettura 1 - 14 e 28 ottobre 2013
I LIBRI E NOI con Diego Cheriscola
Libri immaginari: libri irrisolti, irrilevanti ed irreali finché il lettore non si fa avanti. Libri che chiedono l'attenzione per una corrispondenza sottile, sfuggente e timorosa, una relazione che ha il respiro condiviso di una coppia furtiva, quella che l'autore ed il lettore stesso formano. Sono libri dei quali siamo ispiratori, forgiatori, responsabili: coautori insomma.
Libri magnetici: nei quali si trova un’eternità sempre adattabile. Libri assertivi, solidi come solo la carta può essere. Lettere dalle quali siamo intimoriti, umiliati, ma dalle quali siamo contemporaneamente salvati, in una terapia di inossidabile benevolenza, di mutua e mai vana fratellanza. Sono libri dei quali siamo allievi, appassionati amanti, spettatori ammirati.

Gruppo di lettura 2 - 11 e 25 novembre 2013
IL REPORTAGE NARRATIVO con Pietro Spirito
Il reportage narrativo è una delle forme letterarie più in auge. Fra tradizione e contaminazione offre codici espressivi duttili e molteplici. Ma qual è il punto di partenza per raccontare luoghi, cronache e viaggi nell’era di Google maps? Da Affinati a Franchini, Ferracuti e altri, un confronto sui modi della no fiction in Italia oggi.

Gruppo di lettura 3 - 13 e 27 gennaio 2014
LA VIA DELLE SPEZIE con Massimo Novarin
Una narrativa da viaggio insospettabile…Darwin, Marco Polo, Kipling. Nelle loro storie ci sono vere e proprie indicazioni da guida turistica o catalogo da tour operator! Pagine di romanzieri e viaggiatori che raccontano di un mondo lontano, ancora puro e incontaminato e di un eden del “buon selvaggio”. Senza saperlo dei veri ecologisti di altri tempi.

Gruppo di lettura 4 - 10 e 24 febbraio
DALLE BIDONVILLE A BOLLYWOO con Laila Wadia
Un viaggio nell’India reale, quella che vede questa nazione intrappolata tra i poli opposti della miseria delle bidonville e i fasti di Bollywood. Nella vita quotidiana degli indiani questi due mondi si alimentano e si sostengono da lontano ed è soltanto nella letteratura e nella filmografia che si permeano. Attraverso brevi filmati e alcuni romanzi visiteremo questi luoghi per scoprire che anche dai rifiuti può nascere l’oro. (in italiano e inglese).

Gruppo di lettura 5 - 10 e 24 marzo 2014
INGIUSTO FECE ME CONTRA ME GIUSTO con Marco Giovannetti
Chi era Pier delle Vigne e perchè si trova nel tredicesimo canto dantesco? Come si forma la selva dei sucidi e chi sono coloro che scappano tra gli arbusti? Il contrappasso, l'episodio di Polidoro e le corti italiane. Una rilettura di uno degli episodi più famosi della Divina Commedia attraverso curiosità, aneddoti e significati nascosti.

Gruppo di lettura 6 - 14 e 28 aprile
LIBRI PROIBITI, LIBRI CENSURATI, LIBRI RISCRITTI con Simone Volpato
Quando un libro viene pubblicato di rado ci si chiede quali vicende e quali storie l'hanno accompagnato; il libro edito poi spesso è diverso sa quello che l'autore aveva in origine pensato? E chi può aver cambiato il contenuto? E chi può averlo censurato? Una storia dell'editoria inedita e pertanto tutta da scoprire.

Gruppo di lettura 7 - 12 e 26 maggio
LA STORIA DEI COLORI con Michela Messina
Un manto rosso significa potere, un tailleur nero rappresenta l'autorevolezza, l'abito blu è sinonimo di eleganza. Ma è sempre stato così? Il significato di un colore è sempre univoco? Nella moda, come nell'arte, i colori ci parlano attraverso un linguaggio non scritto ma eloquente, che è il risultato del passare delle epoche. A partire dai libri di Michel Pastoureau, andremo alla scoperta dei diversi messaggi estetici e sociali che il colore veicola e che dobbiamo solo imparare a leggere.



giovedì 29 agosto 2013

Grotte di Ternovizza e dell'Acqua (Boriano)

Le due grotte che abbiamo visitato a fine agosto si trovano a Trieste, Comune di Sgonico, presso Ternova Piccola. Sono entrambe visitabili anche da soli, ma quella di Ternovizza presenta ben presto un pozzo non superabile senza attrezzatura. In ogni caso ricordo che è preferibile rivolgersi alle associazioni speleologiche di Trieste che hanno guide e personale qualificato.
Grotta di Ternovizza
La grotta di Ternovizza ha una profondità di 95m ed uno sviluppo di quasi 470 metri. Durante la prima guerra mondiale gli austriaci la unirono per mezzo di una breve galleria ad una caverna vicina, la Peica Jama, dalla quale noi accediamo mediante una scalinata rudimentale. Non siamoa ttrezzati per percorrerla tutta, così quando giungiamo ad un ballatoio che si affaccia su di un pozzo verticale fiancheggiato da massicce colonne, dove giunge la luce dell'altro imbocco, siamo costretti a fermarci.
Qualcuno l’ha recentemente utilizzata per un Likoff, una festa durante la quale si accendono dei fuochi: il fumo e l’odore sono ancora fortissimi, anche causa l’umidità e la pressione che mantengono in basso il fumo.


Dopo il pozzo, la grotta continuerebbe con una lunga galleria discendente abbellita da poderose formazioni calcitiche, tra le quali il famoso Organo; la galleria porta ad una vasta sala, la parte più suggestiva di tutta la cavità: enormi pilastri creano varie prospettive ed il suolo è formato da colate di notevole spessore, disseminate di molti bacini d'acqua di ogni dimensione.
Grotta dell’acqua
La grotta dell’Acqua (Brje in sloveno), era nota da lungo tempo agli abitanti di Boriano, ma è del 1898 la prima visita della Società Alpina delle Giulie. Ha una profondità di soli 24 m ed uno sviluppo di 188, ma ci mettiamo più di un’ora a visitarla. Io e Paolo la raggiungiamo dopo una pioggia torrenziale, che ci infradicia completamente rendendo i 13 gradi interni della cavità un considerevole elemento di disagio.
Si stenta un po’ a trovare l’imbocco. Il modo più semplice per raggiungerla, una volta superata su asfalto Ternova piccola, è quello di imboccare a piedi la strada con divieto di transito che si trova a sinistra del parcheggio, prendendo poi il sentiero 10 (la Vertikala) che costeggia per una decina di minuti le fortificazioni della prima guerra mondiale. E’ lungo questo tratto che ci imbattiamo nella biscia che mostra tutta la sua aggressività attaccando la Canon che la inquadra.
Ad un tratto, proseguendo sul sentiero 10, arriviamo ad un bivio che a destra prosegue con il 10 mentre noi prendiamo il 3 a sinistra. In un minuto si arriva ad un quadrivio dove il sentiero 3 ci taglia la strada sia a sinistra che a destra: qui si procede diritti seguendo la direzione del sent. 10 dal quale proveniamo seguendo le indicazioni tonde in rosso sulla corteccia di un pino nero, che mostrano la strada per Brje. C’è un tabellone che indica il confine di Stato a poca distanza. Si procede per un centinaio di metri finché il sentiero piega a destra con un tornante seguitando dritto per meno di 100m. Si giunge ad un grosso pino e si nota un segnale rosso su un masso a sinistra in corrispondenza ad un segnalino tondo rosso su un frassino ed una fettuccina bianco-rossa appesa su un ramo: qui si abbandona il sentiero che procede dritto per prendere invece a sinistra scendendo per almeno 50 metri in quota e qualche centinaio di metri nel bosco, seguendo delle fettuccine bianco-rosse in nylon appese ai rami. Si raggiunge perpendicolarmente un nuovo sentiero con il cippo confinario marcato 71-28. Si prende a sinistra per circa 200 metri fino al cippo 71-26 in corrispondenza del quale si apre la grotta dell’Acqua. 
Nel 1959 si accertò che l'ingresso era tuttora per pochi metri in territorio italiano, ma visto il periodo da guerra fredda bisognava fare molta attenzione a non valicare la linea di confine per accedervi.
L'attuale imbocco non è quello scavato dalle acque che hanno formato la caverna e si è aperto in epoca successiva sul fianco della stessa; una volta entrati si percorre un ambiente spazioso in ripida discesa, nel quale si intravedono subito ricche formazioni calcitiche.
Dopo un tratto ascendente la cavità continua con una galleria interamente occupata da un caotico accumulo di blocchi enormi e lastre staccatesi dalle pareti e dalle volte, sui quali si procede destreggiandosi con agili saltelli; la superficie, apparentemente liscia, non è però scivolosa.

In corrispondenza di una stozzatura il materiale di frana si esaurisce e la grotta cambia completamente aspetto: il suolo diviene orizzontale ed è costituito da un crostello stalag-mitico, nel quale sprofonda una cavità  a forma di marmitta che è possibile aggirare lateralmente. In questo trattto, nel caso in cui la grotta sia ricca d’acqua (più facile che accada in autunno), bisogna fare attenzione a non “passeggiare” con gli stuvali di gomma su quelle che appaiono come semplici pozzanghere, perché in due o tre casi si tratta in realtà di pozzi di anche due metri di profondità.
Più avanti le dimensioni della cavità  aumentano e le concrezioni coprono ogni anfratto, creando sul pavimento dei grandi bacini colmi di acqua limpidissima (quando presente naturalmente) che crea dei giochi di luce e dei riflessi splendidi.

Superati altri due pilastri che formano una specie di portale, si entra in una grande caverna nella quale si ergono, sul lato destro, numerosi ed imponenti gruppi colonnari e stalagmitici. Nella parte terminale della sala si nota che il crostone calcitico è stato spezzato, incontrando un banco di argilla che è stato scavato per qualche metro, nel tentativo di scoprire altri vani. Lo scavo è stato effettuato nel corso della prima guerra mondiale ed infatti sulle concrezioni vi sono varie sigle e date degli anni tra il 1914 ed il 1917, durante i quali gli austriaci considerarono la possibilità  di adattare la grotta a ricovero militare, come venne fatto per altre caverne vicine, tra le quali la appena visitata Grotta di Ternovizza.
Il nome indigeno (Vodnica Jama - Grotta dell'Acqua) suggerisce l'ipotesi che gli abitanti dei vicini paesi vi si recassero in occasione delle grandi siccità  ad attingere le fresche ed abbondanti acque delle vasche alimentate da un costante stillicidio e da modeste infiltrazioni. Va notato ancora il fatto singolare che la grotta procede nel suo sviluppo parallela al fianco della collina, mentre il camino che raggiungeva la superficie, notato dal Sillani, è ora ostruito.





martedì 20 agosto 2013

Nosy Be: il resort Amarina, la visita della foresta Lokobe dell'albero sacro e della distilleria di ylang ylang.

http://www.youtube.com/watch?v=FmjO1zh2kKM&hd=1
Questo è il link per il video che abbiamo realizzato in Madagascar, in poco più di una settimana di soggiorno. In realtà la nostra meta è stata Nosy Be, un'isola di 30 km che si trova a nord-est della Grande Isola.
Contatti per le escursioni, per chi interessato a far da solo:
Nostra guida Maxwell +261320205064. email mwell721@gmail.com. code facebook 30061979
Altra Guida: Bernard: +261 328893020   mail fagnonybernardremi@yahoo.fr

NOSY BE IN MADAGASCAR
1-2 luglio
Il viaggio lo dobbiamo agli amici che hanno contribuito omaggiandoci parte della vacanza proposta dalla Julia Viaggi di Trieste. La paziente Patrizia ha assecondato le nostre indecisioni passando dalla Turchia, alla Grecia, al Kenya per approdare in Madagascar.
Partiamo alle 12 da Trieste così da raggiungere Milano Malpensa dopo 6 ore, a causa del ribaltamento in autostrada di un camion carico di bottiglie di vetro. L’aereo della Meridiana parte con più di un’ora di ritardo per la mancata consegna di parte dei pasti. Scalo a Roma e ripartenza per 8 ore e mezza di volo. Una notte molto agitata a causa dello spazio ridotto tra i sedili, che costringe entrambi alla disperata e inutile ricerca di posizioni confortevoli. Pagheremo la sera questa insonnia forzata.


L’arrivo a Nosy Be a mezzogiorno è un compendio di quel che avverrà nella settimana: spiccioli alla mano perché per ogni passaggio viene richiesta una mancia. Scopriamo che l’atteso pagamento di 70 euro a testa per il visto d’ingresso è stato eliminato di recente, così potremo giocarci quell’importo nelle mance dei giorni seguenti. Daniela inizia con un generoso contributo di 8 euro alla guardia che controlla la dogana che, al pari delle donne preposte al timbro del passaporto, non si fa scrupoli a sussurrare “mancia?”.
Appena usciti dall’aereoporto di Nosy Be, piccolo e spoglio ma pieno di addetti, dotato di pale anni cinquanta stile America latina per rinfrescare l’ambiente, si viene assaliti da una massa di beach boys che ti consegnano i loro scarni fogli-depliant con le offerte per le uscite. Scopriremo nei giorni seguenti che questa è l’unica loro occasione per giocarsi le possibilità di lavoro perché nei villaggi, che propongono escursioni in concorrenza, è proibita la loro presenza.

Saliamo sul pulmino polveroso dopo aver fatto conoscenza della nostra animatrice Alessia, che ci invita a lasciare a terra le valige, caricate su un pulmino a parte. Quaranta minuti ci separano dalla meta, che raggiungiamo in senso antiorario percorrendo dapprima l’unica strada asfaltata dell’isola e nel quarto d’ora finale uno sterrato molto sconnesso sul quale ci muoveremo anche i giorni successivi, dal momento che il  nostro resort Valtur è confinato in una splendida ed appartata area a nord-ovest dell’isola.
Giunti a destinazione, veniamo accolti con un gradito cocktail di benvenuto che attenua almeno un po’ la delusione per la pessima cena servita da Meridiana; in particolare si poteva fare a meno del blocco di cemento rappresentato dai ravioli bollenti.
Il resort che ci ospita è pieno solo per un terzo, causa il periodo: siamo in soli 40 ospiti, il che rende la spiaggia privata di quasi un chilometro ancora più deserta. A noi, naturalmente, va bene così, ma se qualcuno cerca vita e movida, deve andare altrove. L’altra bella sorpresa è data dalla stanza, che in realtà è una suite spaziale. Si trova ad una trentina di metri dal mare ed ha una superficie corrispondente a quella delle tre stanze del piano terra. Si è trattato di una gradita sorpresa offerta dall’agenzia. Il grande salone-camera da letto ha un letto king-size di 2 metri e 20 di larghezza, un divano, una scrivania, due tavolini, tv, mobile bar e panchetta disposti su una lunghezza di una dozzina di metri. Concludono l’allestimento un piccolo gabinetto ed un enorme bagno con doccia, vasca da bagno, lavandini doppi e un simpatico appendi accappatoi composto da un tronco di mangrovia. Lo spazioso armadio a muro accoglie la cassaforte ed i nostri 20+13 kg di bagaglio. Il margine di 7 kg di valige ce lo giocheremo al ritorno portando con noi un po’ di acquisti. L’ampio poggiolo esterno dal quale ci godremo il mare, il tramonto e la brezza serale, è fornito di un divano soffice con tavolino, due pesantissime sedie in legno massiccio e due invitanti sedie sdraio.
La giornata passa tranquillamente in relax cosiccome la successiva, usate per ritemprarsi e per giocare quattro colpi di pallavolo.

Il direttore Giovanni, assieme agli animatori Alessia (che si dedica ai ragazzi), Rita (responsabile delle camere), Valentina (rapporti con gli ospiti e organizzazione delle uscite), Mimmo (simpatico musicista bassista-chitarrista-cantante-indovinellista) e Gianluca (organizzatore di giochi sulla spiaggia e snorkeling) ci avvertono da subito che l’Amarina non è un villaggio classico ma soft, nel senso che gli animatori non incalzano gli ospiti con richieste di partecipazione ad attività “spontanee” ma che il motto è quello dell’isola: “MORA MORA”, cioè calma e fai quello che ritieni di fare. E’ una precisazione che io e Daniela, abituati alle vacanze “fai a te” apprezziamo molto.
In questi primi due giorni prenderemo confidenza con il servizio soft-all-inclusive: abbondanti colazioni, pranzi e cene, vino della casa o altre bibite serviti da solerti camerieri pronti a riempire il bicchiere quanto a sottrarre il piatto appena terminato l’ultimo boccone. E’ compresa anche l’illimitato uso del servizio bar, che peraltro sfrutteremo molto marginalmente.


4 luglio
Alle 7 abbiamo appuntamento con la nostra guida turistica personale, Maxwell, incontrato casualmente nel corso di una nostra autonoma escursione fuori dai confini della proprietà Valtur. Ci incontriamo all’esterno della seconda sbarra, in prossimità del villaggio malgascio; questa sbarra è stata posta alcuni anni fa in aggiunta alla prima perché i beach boys si avvicinavano troppo al resort per proporre le loro escursioni e la proprietà non gradiva.
Percorriamo il tratto sterrato che ci porta alla strada asfaltata, costruita dai cinesi come contropartita per lo sfruttamento del mare dal quale prelevano cetrioli di mare (oloturie) per farne una specie di plastica. Il tratto asfaltato è ben transitabile, anche se di tanto in tanto Maxwell, che percorre dal 2007 ogni giorno questa strada e la conosce perfettamente, rallenta di colpo per affrontare delle buche trasversali che romperebbero le già provate sospensioni del mezzo.
La prima tappa è il parco naturale della foresta Lokobé, della quale parliamo nel post http://knedel-grup.blogspot.it/2013/07/nosy-be-la-foresta-di-lokobe.html
Ripartiamo allora da dove eravamo rimasti, cioè da quando riprendiamo la piroga per lasciare Lokobé.
Lasciamo Lokobé alle 11:30 per raggiungere in meno di 20 minuti la distilleria di ylang ylang. I ragazzi che ci lavorano, una decina, passano lì 24 ore al giorno, nutrendo il fuoco con il legname raccolto nella vicina foresta. La distilleria è stata realizzata da un prete molti anni fa e recentemente acquistata dall’uomo più ricco dell’isola, un indiano. Il procedimento è molto dispendioso: da 100 kg di fiori di ylang ylang si ricavano circa 2 litri di distillato, dopo un gran lavoro di “cottura”. La tecnologia è abbastanza semplice e primordiale: delle grosse caldaie arrugginite, in ferro, trasmettono il calore e ai fiori dopodiché l’acqua nella quale essi sono immersi, mescolata all’essenza, entra in delle bottiglie in vetro (sembra una vecchia bottiglia di Coca-cola), l’acqua più pesante scende verso il fondo e da lì viene recuperata con una cannuccia a mo’ di vaso comunicante, lasciando la preziosa e rara essenza sulla superficie. Il prodotto di massima qualità è così costoso che una boccetta di circa 1/10 di litro corrisponde alla paga di un uomo per 3 mesi. Figurarsi a romperla!
Il ylang ylang viene usato come fissatore dei profumi e per questo quello di massima qualità viene acquistato dai francesi. Quello di seconda qualità è quel che abbiamo comperato noi: al mercato una boccetta ci costa una decina di euro. Il cocco invece ci sosta meno di un euro a fiaschetta. Il motto “mora mora”, cioè “calma, calma” si addice a questi lavoratori che svolgono il loro lavoro con molta tranquillità, ma va detto che fa molto caldo e che le condizioni di sicurezza sono ben lontane dagli standard italiani. In ogni caso impressiona pensare che svolgano questo lavoro per poco più di 50 euro al mese.
L’olio essenziale di Ylang ylang se inalato svolge un'azione rilassante sul sistema nervoso, attenuandone i disturbi, come ansia, depressione, irritabilità, nervosismo e insonnia. L’essenza è in grado di abbassare la pressione arteriosa e di attenuare i disturbi provocati sul sistema cardio-circolatorio dallo stress, come palpitazioni e tachicardia. E’ un olio essenziale importante nell’erotismo e già i coloni francesi la definirono "profumo afrodisiaco", perché veniva usato negli harem insieme ad altri olii essenziali. Per la pelle è indicato in caso di produzione eccessiva di sebo e acne: se diluito qualche goccia nel detergente per il viso, il derma recupera tono e luminosità.
La visita alla distilleria non è imperdibile: interessante sì, ma la natura qui è molto più attraente. Così dopo nemmeno mezz’ora partiamo alla volta del mercato di Hell-Ville per poi tornare nella natura.
Ad Hell-Ville visitiamo il mercato dove Daniela fa incetta di spezie e di olio di cocco e ylang ylang, lasciando alla fortunata venditrice una quarantina di euro. Ci impressionano i grossi granchi delle mangrovie ancora vivi sepolti nel fango, in delle tinozze superaffollate. Lascia un po’ perplessi l’igiene, che qui è un optional: un europeo probabilmente si ammala solo a guardare la quantità di mosche che frequentano la carne ammassata su di un tagliere, ma la gente di qui non sembra avere problemi con i batteri. Mosche ovunque, anche sull’ insalata. L’acqua del pozzo è la nostra acqua minerale in bottiglia.

Poco prima dell’una lasciamo la capitale. Iniziamo ad avere fame, ma prima ci aspetta l’albero sacro, che raggiungiamo in poco più di un quarto d’ora. La ragazza dal volto dipinto (maschera di bellezza? Vezzo? Segnale di un ciclo mestruale? Ne abbiamo sentite molte…) ci conduce all’interno del recinto dove è posto l’albero che ha come sentinelle i soliti lemuri Macaco.
Nel 1837 la regina Sakalava Tsomieko sbarcò nella baia di Ampasindava con 12 mila marinai, nello stesso tempo degli indigeni. Per questo fatto, un Ficus religiosa fu piantato in suo onore. La superficie coperta dall’albero è di 5 mila metri quadrati; questa maestosità è stata raggiunta in soli 200 anni, a partire da un tronco principale, ora piuttosto minuto, dal quale si sono sviluppate queste enormi radici aeree che una volta giunte al suolo hanno dato vita a nuovi tronchi figli della stessa pianta. L’albero maestoso è in alcuni punti circondato da drappi rossi e bianchi, segni di sacralità in questo paese. Il Ficus religiosa è venerato da tutte le religioni del Madagascar e tutte le religioni sono accomunate da una forte componente animistica. Adolfo, il trentaseienne malgascio che accompagna i gruppi della Valtur, ci spiegherà che ogni animale e ogni pianta del creato ha in sé un’anima.


Alle 15:30 siamo alla cascata situata 9 km ad ovest di Hell-Ville nel villaggio d’Androandroatra, che è un sito naturale colonizzato da una flora lussureggiante. La cascata si riversa in un lago nel quale gli abitanti delle case vicine si bagnano. Siano da soli quando entriamo nell’anfiteatro ampio più di una cinquantina di metri, ma poi passeranno a farci visita un gruppo di zebù con il loro padrone e in seguito un gruppo di giovani donne adolescenti del villaggio, che usano il grande bacino creato dalla cascata per rinfrescarsi e giocare. Joe, io e Maxwell ci immergiamo nell’acqua fresca e raggiungono la base della cascata, che in questa stagione è povera d’acqua. Lo stillicidio lungo le scure pareti genera l’habitat ideale per enormi felci che attecchiscono sulle superfici verticali. I drappi rossi e bianchi posti su un albero indicano che anche questo sito è un importante luogo culturale per i Sakalava. Qualche fotografia e ripresa, poi ci avviamo verso i laghi vulcanici.


I laghi vulcanici sono luoghi sacri e poco accessibili; sulle loro sponde vivono i coccodrilli e una miriade di uccelli. Gli abitanti dichiarano di aver talvolta visto questi rettili che, nella stagione delle piogge, abbandonano l’area grazie all’enorme quantità d’acqua che alza enormemente il livello del lago.

Prendiamo la strada per la cima del mont Passot, di 330 metri, in tempo per goderci il tramonto che si manifesta in tutta la sua bellezza alle 17:30. Le immancabili bancarelle propongono questa volta anche delle scatolette in legno con aperture segrete e degli album di fotografie  in carta realizzata a mano.
E’ ora di rientrare. Alle 18 appena passate, con ormai un buio profondo, entriamo nel resort. A Maxwell spettano ancora quella quarantina di km che in circa un’ora lo riporteranno dalla moglie e dai due figli di 11 e 12 anni. Più di due, ci confida, non può permetterseli, visto che già la scuola privata costa qualche decina di euro al mese e quella pubblica, dice, è inconsistente.

domenica 28 luglio 2013

La via Francigena di San Francesco secondo il Knedelgrup. Parte Seconda: Assisi-Spello

28 luglio - Assisi - Spello
Distanza percorsa - Km 44 effettivi (tenendo conto dei piccoli movimenti nelle soste): Il tracciato in linea richiede 19,8 km di percorso.
Pendenza media 10%, massima 34%.
Quota: guadagno/perdita quota effettivi: +1450/-1612

Guadagno/perdita quota tracciato diretto: +1138/-1303

Si parte alle ore 9:00 del 28 luglio, gruppo al completo (16 umani più un cane): Erni, Susy, Claudia, Nevio, Daniela, Dario, Giuseppe, Dander, Enzo, Erica, Roberto, Pierpaolo, Grazia, Sergio, Sonia, Nico, Gala. Buona colazione al convento.
Prendiamo la strada bianca verso l’Eremo delle Carceri con una considerevole salita nel bosco, almeno ombreggiati. Quando arriviamo ci dicono che Gala non può entrare e che bisogna essere vestiti adeguatamente, cosa difficile vista la caldissima giornata. 
L'eremo delle Carceri è il luogo in cui san Francesco d'Assisi e i suoi seguaci si ritiravano per pregare e meditare. Lo raggiungiamo dopo 3,7 km di marcia, con una pendenza media del 33% che ci porta da circa 400m di quota a 791 m, innalzandoci, tra saliscendi, di 490 m. E’ ubicato sulle pendici del monte Subasio, nei pressi di alcune grotte naturali, frequentate da eremiti già in età paleocristiana.
 Donato dal Comune di Assisi ai benedettini, questi ultimi lo cedettero poi a San Francesco, affinché si potesse "carcerare" nella meditazione.
Ampliato nel 1400 da San Bernardino da Siena con la costruzione della chiesa di Santa Maria delle Carceri, che ha inglobato una primitiva cappella e di un piccolo convento, l'eremo è posto in un bosco di lecci secolari circondato da grotte e da piccole cappelle dove i pellegrini si ritirano ancora oggi in contemplazione.
Superato il chiosco del venditore di bibite e panini, che per vendere i suoi prodotti qualche esagerazione sul percorso ce la racconterà, si prosegue per un acciottolato fino al Chiostrino dei frati, una terrazza triangolare che si affaccia a strapiombo sul fosso delle Carceri. Alle estremità del chiostro vi sono le porte che conducono al refettorio dei frati e alla chiesa di Santa Maria delle Carceri. Al piano superiore del refettorio sono situate le celle dei frati.
Scendendo una ripida scalinata, dal convento si arriva ad un bosco di faggi e alla grotta di san Francesco. Dal sentiero antistante a questa si dipartono le altre grotte dei primi compagni di Francesco: Leone, Antonio da Stroncone, Bernardo di Quintavalle, Egidio, Silvestro e Andrea da Spello.
 Nei pressi della grotta di San Francesco si trova un leccio secolare dove erroneamente molti credono ebbe luogo la predica agli uccelli di San Francesco che in realtà le fonti storiche attestano essere avvenuta fuori del comune di Assisi. Tradizione vuole che il burrone che si trova nei pressi del monastero sia in realtà il letto di un fiume, oggi in secca, le cui acque furono prosciugate dal santo poiché disturbavano la sua meditazione e quella dei suoi discepoli.
Comperiamo dei panini di ”plastica” dal rivenditore e dopo 3 km di strada i nostri compagni di viaggio salgono a sinistra mentre io e Daniela scendiamo verso destra. Alle 13 raggiungiamo le indicazioni su un cartello bianco e rosso posto su un tornante: a sinistra si va con il sent. 54 per Sasso Rosso, la Bolsella e Fonte Bregno (a 50’) e sempre a sinistra con il sent. 56 per Sasso Rosso, Gabbiano e il Lago mentre noi prendiamo a destra sempre lungo la strada asfaltata per San Benedetto (10’). L’Eremo delle Carceri è dato ad 1h20’.
Siamo circondati da acero trilobo, maggiociondolo, carpinella, orniello, roverella, nocciolo. Ci sono molte cicale.
L’Abbazia di San Benedetto al Subasio sorge isolata in mezzo ai boschi nel versante occidentale del monte Subasio. Si tratta di una potente abbazia benedettina documentata a partire dal 1051, che negli anni immediatamente successivi al mille amministrava molti dei territori che gravitavano attorno ad Assisi.
 L’abbazia, recentemente abbandonata a causa dei danni provocati dal terremoto, permette di immergersi all’interno di un affascinante verde paesaggio.
La chiesa si presenta a navata unica con pianta a croce latina e con la zona presbiteriale rialzata. Al di sotto del presbiterio si apre la cripta romanica suddivisa in cinque piccole navate da una serie di colonne. La copertura, in parte crollata o forse mai ultimata, è caratterizzata da due archi.
Della struttura romanica restano invece le mura perimetrali, l'abside primitiva semicircolare e la cripta della seconda metà dell’XI secolo.
La nuova chiesa abbaziale, costruita con l’asse centrale perpendicolare alla precedente, raggiunse il massimo del prestigio nel XIII secolo, quando erano alle sue dipendenze chiese, ospedali e piccole cappelle sparse in tutto il territorio circostante.
Nel 1260 l’abbazia passò ai monaci cistercensi. Sul finire del XIII secolo divenne spesso rifugio dei gruppi di fuoriusciti banditi dalla città di Assisi nelle frequenti lotte tra famiglie rivali.
Nel 1391 venne conquistata dall’esercito perugino e nel 1339 gli Assisani ne distrussero gli apparati difensivi per evitare che i fuorusciti si impadronissero stabilmente del complesso.
Nel 1860, con la soppressione degli enti ecclesiastici, venne venduta a privati.
Solo nel 1945 i benedettini di San Pietro di Assisi hanno ripreso possesso dell'abbazia ed hanno iniziato un lungo lavoro di restauro durato circa un ventennio.
L’aspetto attuale del complesso è caratterizzato da edifici in parte restaurati in parte allo stato di rudere.
Nonostante l’abate non lo richiedesse, San Francesco si impegnò a corrispondere un affitto annuo (un cestello di pesci) per la concessione della Porziuncola. L'abate volle contraccambiare, offrendo l'olio per la lampada della cappella. Lo scambio di doni tra i frati minori della Porziuncola ed i benedettini si celebra ancora oggi il 21 marzo presso l’abbazia di San Pietro.
14:20. Dopo aver visitato l’abbazia riprendiamo la strada asfaltata in salita e raggiungiamo il bivio precedente imboccando verso Spello il sent. 56, scosceso, sconnesso (ghiaino) e scivoloso in discesa fra carpinelle, sanguinelle, ilex aquifolium, pungitopo, leccio, roverelle tipicamente mediterranee.
Alla fine del sentierino in discesa a circa 650 m di quota prendiamo a sinistra perché il cartello sembra indicare di qua, anche se non essendoci delle frecce non si capisce il verso ma solo la direzione.
15:20. Siamo a 690 m di quota e per la prima volta vediamo un importante bosco fitto di abeti rossi d’impianto d’alto fusto.
Decidiamo di telefonare agli amici del Knedelgrupquando sbuchiamo dal bosco nella collina che sovrasta Spello. Scopriamo che sono poco avanti a noi, tra gli oliveti. Quando li raggiungiamo scopriamo che, come noi, stanno soffrendo la sete. Sarà, per tutti, un’arrembaggio alla fontanella posta alle porte di Spello e soprattutto per l’amico quattrozampe Gala che ci accompagna sarà un sollievo potersi dissetare e riparare un po’ dal sole.



sabato 27 luglio 2013

La via Francigena di San Francesco secondo il Knedelgrup. Parte Prima: Perugia-Assisi.

Quest’anno cade il decennale del Knedelgrup. L’età avanza e, all’opposto, la volontà di camminare con lo zaino in montagna cala. Perciò decidiamo di camminare sì, ma sul piano. Scegliamo l’Umbria, e in particolare la via Francigena di San Francesco, ma alla fine la fatica non sarà poca, a causa degli effetti della settimana più calda dell’anno.
Rimarremo molto soddisfatti del percorso, partendo da Perugia, Valfabbrica, Assisi, Spello, Bevagna, Montefalco e Trevi, tanto da riconciliarci con il nostro splendido paese, pur provato dalla crisi economica, lo stallo politico, la crisi d'identità.
I borghi del centro Italia sono splendidi, le persone cordiali e ospitali, e non comprendiamo se non pensando alla crisi la gran quantità di stanze libere nelle strutture che ci ospitano.
Enzo si occupa dell’individuazione del percorso ideale (una ventina di chilometri al giorno, poco dislivello, paesaggi naturali), Daniela della logistica per il pernottamento.
Sedici i partecipanti, alcuni dei quali hanno partecipato a tutte e 11 le escursioni del decennale del Knedelgrup (questa è l’undicesima uscita che chiude il decennale): Claudia (10), Nevio (8), Susy (11), Erni (10), Beppe (5), Dander (11), Enzo (11), Daniela (11), Dario (11), Sergio (5), Grazia (6), Sonia (10), Nico (10), Erica (3), Roberto (1), Pierpaolo (1).
Dario e Daniela partono in anticipo, per raggiungere in treno Perugia e quindi recarsi a piedi a Ripa, dopo 21 km di percorso in 4 ore, guadagnando complessivamente 400 metri di quota.
Alle 17 lasciamo Perugia; dalla cattedrale di San Lorenzo imbocchiamo la strada lastricata che lievemente in discesa passa lungo le mura e ci porta con un cartello blu e giallo sulle orme di San Francesco.

Tutto il primo tratto (alcuni chilometri) da Perugia è sulla strada asfaltata, tra le automobili, anche se dopo qualche chilometro il paesaggio si apre. Fa molto caldo. Finalmente dopo una curva e controcurva si prende a destra per uno sterrato, ma non seguendo la prima indicazione che porta in un punto morto, ma seguendo un secondo cartello. 50 m più avanti, con la strada per Pretola, asfaltata, con un filare di querce si prosegue facendo attenzione a non sbagliare percorso portandosi a sinistra, ma seguendo ancora in giù leggermente a destra la strada fino ad arrivare ad un prato dove si segue verso Pretola.
Alle 18:45 arriviamo a Pretola. Anche il tratto dalla torre di Pretola proseguendo lungo il fiume non è molto ben segnato: si costeggia un campo sportivo e successivamente il Tevere. Si passano dei canneti lasciando a sinistra i sentierini che portano al fiume fino a raggiungere un ampio ponte pedonale con arcate in cemento (2-3 metri di larghezza) costruito nel 1993. Si passano i circa 200 m del ponte che supera l’ansa disegnata dal Tevere e alla fine, sulla sinistra, si può riempire d’acqua le borracce grazie ad una fontanella presente in un giardino pubblico. Il sentiero prosegue invece a destra per piegare quasi subito nuovamente di 180 gradi.
Superiamo Sant’Egidio alle 20:30. Siamo molto provati ed abbiamo ancora abbastanza strada da percorrere per Ripa, dove abbiamo appena individuato, con Internet, l’agriturismo Cannalicchio. Ci aspettano qui gli amabili Elio e Mirella, che dopo averci un po’ dissetato ci accompagnano al nostro appartamento.
 
 
 
 
 
 
Il giorno seguente rimaniamo ospiti dello splendido agriturismo, dove soggiorniamo completamente da soli, circondati dalla campagna con gli oliveti, i girasoli, la lavanda, godendo della grande e fresca piscina.
 
 
Il 27 luglio, giorno dell’incontro con gli altri componenti del Knedelgrup, Mirella ci accompagna in automobile fino a Valfabbrica, risparmiandoci 10 km di strada asfaltata percorsa dalle automobili.
Va detto che questo è un aspetto deleterio di queste prime giornate: gran parte del tragitto della via Francigena da Perugia si percorre su strada asfaltata tra le automobili, avendo anche poco margine stradale per una camminata sicura. E’ per questo che camminiamo sempre contromano, sul lato sinistro della strada, così da poter vedere per tempo le automobili che ci vengono incontro.
Ad un quarto d’ora dalla partenza da Valfabbrica si piega a destra lungo una strada sterrata. Qui incontriamo un nutrito gruppo di giovani lombardi accompagnati di un Don. Lungo questo tratto che porta nel bosco verso la pieve abbiamo dei filari di pioppi e salici lungo il torrente e un bel campo di malva mentre si prosegue lungo un itinerario con dei cartelli che riportano “Sentiero francescano della pace, secondo tratto Valfabbrica-Pieve di San Nicolò - Fosso Le lupe”.
9:15. Questo tratto è piacevole: ascoltando il canto degli uccellini vediamo un contorno di alberi di sanguinella, acero campestre, roverelle e poi piante di salvia su un ampio sentiero di 2 metri che costeggia un letto di torrente asciutto pieno di equiseti e rovo. Siamo perfettamente coperti dal bosco di querce; sulla destra vi è una azienda agrituristico venatoria recintata mentre sulla sinistra c’è il torrentello. Abbiamo ancora l’acero, la felce Pteridium acquilinum, olmi, cornioli. Il tratto è bello e piacevole anche perché ombreggiato e fresco.
9:20. Sulla strada c’è un rigagnolo d’acqua che rende fangoso il sentiero. Vi sono dei frassini. Si inizia ad arrampicarsi un po’ di più.
9:30. Fortunatamente il tratto è coperto da carpini, frassini, coronilla.. infatti fa molto caldo e la stradina scavata da canalicoli è ripidissima e faticosa a percorrersi.
9:45. Arriviamo ad un’ampia radura con sulla sinistra un campo di spighe di grano. Sentiamo frinire le cicale. Ci sono abbondanti ginestre e si vedono delle prime casette. Sui fiori sono presenti molte farfalle bianche con l’occhiello nero. Si prosegue in salita, poco sotto i 600 m di quota. Una bella caratteristica del paesaggio che notiamo più volte è la presenza di un’unica quercia solitaria al centro di un campo, probabilmente con lo scopo di dare un po’ di sollievo, con l’ombra, al contadino che lavora sotto al sole.
Alle 10:00 si conclude l’eterna salita presso un bivio che indica “Assisi - La Verna - Valfabbrica -Gubbio”. Scendiamo sempre lungo l’indicazione della via Francigena di San Francesco circondati da campi coltivati, sempre contraddistinti da un albero solitario al centro del campo. Con questa discesa ci congiungiamo ad una strada sterrata che proviene da destra e proseguiamo in leggera discesa a sinistra. Poi la strada si inerpica nuovamente. Caratteristico è l’ingresso delle ville agresti con cancellata in ferro e colonne in mattone rosso.
Dopo 10’ arriviamo alla Pieve di San Niccolò dove, salendo i gradini, sulla destra, ci abbeveriamo ad una bella fontanella.
Ripartiamo dalla Pieve alle 10:45 entrando su una strada asfaltata non trafficata. Il paesaggio attorno è formato da oliveti, campi da sfalcio e davanti a noi spicca in lontananza la rocca di Assisi.
Alle 11:00, in corrispondenza ad un grande cartello che riporta informazioni sulla vita di San Francesco, ci buttiamo a sinistra su una sterrata che passa tra le campagne. Ci sono l’orniello, il ginepro, la roverella, la ginestra e sempre il solito accompagnamento sonoro delle cicale. Sulla sinistra è evidente la presenza di flysch. Si scende abbastanza rapidamente lungo la campagna seguendo chiare indicazioni. Troviamo la canna Arundo donax, l’asparago, la ginestra, la robinia, il pioppo nero. Il tratto è molto scosceso e ghiaioso, quindi si rischia di scivolare. Si ricomincia la salita e si trovano il pioppo bianco e il pioppo tremolo. Nel cielo vola sui campi aperti l’albanella reale.
Con la rocca sempre avanti a noi passiamo begli uliveti e vigneti. Alla fine della discesa, in prossimità di un sito con grandi cartelli che parlano di san Fransceco e una strada sterrata che scende dalla destra, si guada il torrente.
Alle 11:40 proseguiamo in un continuo saliscendi: a sinistra abbiamo un ampio spazio occupato dal vigneto, con uno splendido casolare. Di nuovo su strada asfaltata, notiamo le foglie regolarmente alterne dell’olmo. Oltre alla farfalla bianca con occhiello nero c’è la Farfalla zebrata (Iphiclides) gialla-blu-nera-arancione con i bei speroni sul posteriore. Vediamo un gheppio in volo, a caccia di micromammiferi.
A mezzogiorno, sempre con la rocca ben visibile avanti a noi, arriviamo sulla strada asfaltata (statua di Padre Pio) che imbocchiamo verso sinistra (non a destra, come verrebbe da fare vedendo la vicinanza della rocca). Questo tratto è su asfalto e bisogna camminare sul margine perché 2-3 macchine al minuto ci passano. E’ il primo tratto di oggi su asfalto. In poco tempo, alle 12:10 arriviamo ad un ampio parcheggio con grandi frassini maggiori ed una imponente quercia posta davanti al bel ponte medievale.


 
L’ultimo tratto dal ponte medievale ad Assisi è su asfalto con una piccola copertura di bosco ma molto ripida e faticosa, con la presenza sempre di automobili.
Ad Assisi incontriamo i compagni di viaggio, alcuni giunti qui in treno, altri in automobile. Pernottiamo presso il convento delle Benedettine in via Apollinare. Il convento è molto bello e silenzioso, e commentiamo che “fare la suora” per qualche tempo non dev’essere niente male, lontani dal logorio e dal caos cittadino lavorativo.

 Il torrido tardo-pomeriggio e la sera li passiamo a visitare la città, rimanendo in particolare colpiti dalla bellezza della Basilica di San Francesco e della sua cripta. Assisi ha un fascino medievale, si respira la storia, ed è ancora più suggestiva al calar del sole. Coinvolgente anche il concerto dei 500 fiati diretto nella piazza centrale soffiando un Rossini.

Domani una dura salita ci aspetta: l’Eremo delle Carceri e poi giù, fino a Spello. Temiamo il caldo, e facciamo bene perché i telegiornali non fanno che segnalare le conseguenze nefaste del periodo più caldo dell’anno.